Intervista con il cast di “Parasite”, film palma d’oro a Cannes 2019

A tu per tu con Song Kang-ho e Lee Sun-kyun, protagonisti del film del sudcoreano Bong Joon-ho

In un pomeriggio ventoso al Festival di Cannes 2019 abbiamo avuto l’occasione di incontrare due degli attori protagonisti di “Parasite”, il nuovo film del regista sudcoreano Bong Joon-ho che qualche giorno dopo avrebbe vinto la Palma d’Oro e che esce questa settimana al cinema in Italia.

Song Kang-ho e Lee Sun-kyun, che interpretano rispettivamente Ki-taek e il signor Park, hanno risposto alle domande dei giornalisti sulla terrazza del Palais du Festival.

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L’intervista contiene alcuni spoiler, ma non abbastanza da rovinarvi la visione di questo magnifico film.

 

“Parasite” affronta il tema della povertà. Secondo voi è ancora un problema serio in Corea?

Song: Credo che il divario tra ricchi e poveri non sia solo un problema della società coreana, perché l’ineguaglianza economica è presente ovunque, perciò questo film non ritrae solamente l’attuale stato della società coreana. Certo, lo riflette, ma questa è una storia universale che le persone in ogni parte della Terra possono sentire vicina.

Lee: Come appena detto, la disuguaglianza economica esiste ovunque. Ma io vorrei porre l’accento sul concetto del piano, di avere un piano, che appare così spesso nel nostro film. A un certo punto Ki-taek dice che non avere alcun piano è il piano migliore, che quella è la felicità. A mio parere fare dei piani rappresenta i nostri sogni e le nostre speranze, e se ora viviamo in un mondo dove non avere piani è il miglior piano allora è un segno che c’è davvero ingiustizia.

I personaggi che voi interpretate sono complessi, né eroi né antagonisti. Perché secondo voi sono così?

Song: Il criterio morale secondo cui si muovono i protagonisti del film è: “Proverò a ottenere il meglio per me e la mia famiglia senza far del male agli altri”, ma ovviamente la situazione li porta molte volte a finire per ferire e sacrificare le altre persone. In questo senso, questa storia non ha dei veri cattivi, ma ci mostra come tutti noi viviamo in questo mondo dove un’azione fatta senza pensare può provocare danno agli altri. Ho percepito questa storia come un racconto del nostro ambiente e della nostra vita quotidiana, e perciò mi è riuscito molto naturale immedesimarmi nel mio personaggio.

Lee: Questo film finisce come una brutale tragedia, ma secondo me ogni personaggio ha a suo modo una giustificazione per le sue azioni, e nel mondo reale non c’è nessuno che è al cento per cento buono o al cento per cento cattivo, ma abbiamo tutti un po’ di bene e un po’ di male dentro di noi. Bong è riuscito a evitare le dicotomie e a creare dei personaggi multi-sfaccettati, con diversi aspetti intrecciati.

Tornando al concetto di povertà, nel film c’è un elemento fondamentale, cioè l’odore della povertà. Come descriverlo dal punto di vista dei personaggi?

Song: L’odore è qualcosa di invisibile, è lì ma tu non riesci a vederlo. Credo che questo significhi, almeno per il signor Park, che nel suo subconscio c’è una linea invisibile che separa le classi sociali, e questa storia mi sembra un avvertimento su quanto pericolosa possa essere quella linea: nonostante siamo tutti appartenenti allo stesso popolo, nel nostro subconscio ci distinguiamo in base alla classe economica. Inoltre, l’invisibilità dell’odore aggiunge un elemento multidimensionale al film, una sorta di muro gigantesco che non riusciamo a oltrepassare.

Lee: Il mio personaggio, il signor Park, dice continuamente di odiare le persone che passano il limite e, proprio come l’odore, anche questo limite non è visibile ma è qualcosa creato da lui. Credo che lui e molti altri si costruiscano dei criteri e limiti invisibili che separano le persone. In sostanza l’odore simboleggia un senso di distanza, perché queste due famiglie e le classi sociali che rappresentano non possono mescolarsi. E in questo mondo esistono così tanti odori e confini strani che le persone si costruiscono!

Bong Joon-ho ha paragonato la recitazione in un film a una squadra di calcio. Siete d’accordo con lui?

Lee: Sì, come ha detto il nostro regista questa storia non è trainata da un solo protagonista, ma tutti i personaggi hanno la loro posizione e devono muoversi attraverso il racconto in modo organizzato.

C’è qualche tema particolarmente coreano in questo film che potrebbe sfuggire al pubblico occidentale?

Song: L’appartamento nel seminterrato è qualcosa di molto coreano: uno spazio per vivere che praticamente significa povertà. A volte ti arriva la luce del sole e a volte no, e in questo film la luce del sole simboleggia il calore e la speranza. Forse questo non è noto al pubblico occidentale.

Signor Song, in passato aveva già lavorato altre volte con Bong Joon-ho (Memories of Murder, The Host, Snowpiercer). Le sembra che “Parasite” rappresenti l’evoluzione del suo lavoro di regista?

Song: In “Parasite” vediamo bene la visione sociale di Bong, sviluppata negli ultimi vent’anni, che mostra la maturità filosofica che lui ha raggiunto. Finora i suoi film hanno dipinto una fetta della società, ma in questo film sentiamo la totalità della sua riflessione sociale e filosofica: “Parasite” è su un altro livello.

Qualcuno ha osservato che c’è uguaglianza tra i membri familiari in “Parasite”: pensate che ci sia una qualche interpretazione dell’uguaglianza di genere nel film?

Song: Non credo che questo film si concentri sui problemi di genere. Per esempio, il modo in cui la moglie di Ki-taek lo tratta non serve a innalzare la posizione di lei all’interno della famiglia, ma piuttosto a prendere in giro Ki-taek per la sua incompetenza come capofamiglia.

Lee: Secondo me tutte le scelte dei personaggi servono a farli sviluppare e non a posizionarli in una scala gerarchica basata sui ruoli di genere.

Alla fine del film è scioccante vedere Ki-taek aggredire il signor Park, perché sembrava che Park lo trattasse bene e con rispetto. Potete dirci qualcosa a proposito?

Song: In parole povere, per me quella scena rappresenta il collasso della dignità di Ki-taek. Non è un atto di odio o rabbia verso il signor Park, è piuttosto un impulso che nasce perché lui sente che la sua dignità è stata completamente distrutta dalla società.

È chiaro ormai che “Parasite” è un film sulla società odierna. Che ruolo sociale esercitano secondo voi gli attori con le loro scelte professionali?

Song: Penso che l’arte abbia sempre avuto il compito di ritrarre l’atmosfera del tempo in cui viviamo. Il lavoro dell’arte è di mettere uno specchio davanti al pubblico cosicché le persone possano vedersi riflesse nelle opere d’arte. Tutti gli attori dovrebbero considerare la recitazione come un modo per rappresentare le storie reali del mondo in cui viviamo, e anche per spingere le persone a vedere le proprie facce, quelle facce che hanno nascosto a se stesse, che magari sanno di avere ma cercano di negare. Credo davvero che il ruolo degli attori sia di aiutare le persone, attraverso il grande schermo, a scoprire dei lati nascosti di sé.

 

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Valeria Lotti
Originaria della provincia di Roma, vive tra l'Europa e la Cina, coltivando la sua passione per lo studio di società e culture. Dottoranda a Berlino, ama scrivere di cinema, viaggi e letteratura. Si ritiene democratica e aperta alla critica, purché non sia rivolta ai libri di Harry Potter.

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