Intervista al regista e sceneggiatore Fabrizio Benvenuto

Con il cortometraggio "Il Dio della felicità" racconta una storia contemporanea con una chiave horror

Ho avuto la fortuna di poter scambiare nuovamente quattro chiacchiere con il regista calabrese Fabrizio Benvenuto, dopo averlo già incontrato nel 2017 al Festival di Cannes, dove presentava il cortometraggio “Sottovoce”, con Marina Crialesi e Stella Egitto (qui l’intervista).

Il suo nuovo lavoro “Il Dio della felicità” (qui la recensione) è un cortometraggio a sfondo sociale ma con un punto di vista del tutto innovativo, la cui visione genera nello spettatore più di una curiosità…

 

Ciao Fabrizio, bentornato su Parole a Colori.

Buongiorno e grazie per l’invito.

Com’è nata l’idea per “Il Dio della felicità”?

Con “Il Dio della felicità” volevo raccontare come stiamo vivendo una sorta di costrizione sociale che ci “obbliga” ad essere tutti felici. L’idea è nata osservando la società e rendendomi conto di quanto questa allegria apparente e superficiale sia diventata importante.

Perché la scelta di realizzare un cortometraggio horror – scelta sicuramente innovativa  e particolare?

La sceneggiatura del corto l’ho scritta due anni fa, ma non riuscivo a trovare la chiave giusta che mi convincesse a girarlo. Poi mi è venuto in mente questo classico espediente narrativo, ovvero quello della possessione tipico dei film horror. Una scelta che mi ha permesso di rendere più chiara e suggestiva anche sul piano visivo la terribile battaglia interiore affrontata dalla protagonista. Volevo raccontare come una persona possa arrivare a rinnegare se stessa, i propri ideali, il proprio io pur di non rimanere sola. La scelta horror mi ha consentito di raggiungere in modo divertente e spero spettacolare i miei obiettivi.

Non voglio ovviamente fare spoiler, ma nel finale ho trovato una certa similitudine con “Joker” di Tod Phillips. Tu che ne pensi? Hai riscontrato degli elementi comuni con questo film che ha conquistato critica e pubblico? 

Come ti ho detto, la sceneggiatura del corto io l’ho scritta due anni fa. Però sì, ci sono alcune assonanze stilistiche ed estetiche tra il mio lavoro e quello di Phillipps.

Nel corto svolge sicuramente una funzione importante la voce fuori campo di Pierluigi Gigante. Come sei arrivato a lui?

Aver conosciuto artisticamente Pierluigi è stata la spinta decisiva che mi ha portato a realizzare il corto. La sua è una super-voce. Abbiamo lavorato nella direzione del Diavolo, di un’entità maligna, ispirandoci a Giancarlo Giannini come doppiatore di Jack Nicholson nel ruolo di Joker nel film “Batman” di Tim Burton.

Se guardiamo al tuo precedente lavoro, “Sottovoce”, è innegabile la tua maturazione artistica e registica. Oltre a questo io ho riscontrato anche una maggiore consapevolezza e capacità di sintesi in fase di scrittura. Sei d’accordo?

Sì, assolutamente. “Sottovoce” durava trenta minuti. Era la prima esperienza nel mondo dei cortometraggi. È stata una straordinaria quanto preziosa palestra per farmi capire come muovermi e indirizzarmi nei successivi corti e film che ho scritto e realizzato.

E adesso? Stai già lavorando a nuovi progetti?

I due film che ho in lavorazione sono prodotti dalla Lionheadfilms: “Il dio della foresta”, scritto in collaborazione con Libero Pastore, e “La parte sognate”. Per entrambi sono attualmente in corso i casting. Il primo, che verrà girato in Sicilia, parla della necessità dell’uomo di credere in qualcosa, specialmente quando si trova davanti al nulla; di quanto siamo capaci di andare contro natura e della nostra impotenza davanti alle misteriose leggi cosmiche. “La parte sognante”, invece, parla della malattia moderna del non accontentarsi mai, è una danza di un povero uomo con le tentazioni.

Buon lavoro, Fabrizio, e in bocca al lupo. Ti aspettiamo in sala.

Grazie, e crepi il lupo.

 

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