“Jojo Rabbit”: tra commedia e dramma, orrore e meraviglia

Taika Waititi firma un film bellissimo, dove recitazione, sceneggiatura e musica si sposano alla grande

Un film di Taika Waititi. Con Scarlett Johansson, Roman Griffin Davis, Sam Rockwell, Rebel Wilson, Taika Waititi, Thomasin McKenzie. Drammatico, 108′. Germania 2019

Jojo è un bambino di dieci anni nella Germania nazista sul finire della Seconda guerra mondiale. Per quanto entusiasta, è un membro inetto della Gioventù hitleriana, ma almeno può contare sul suo amico immaginario, Adolf Hitler. Ma quando scopre che la madre sta nascondendo in casa una ragazza ebrea dovrà fare i conti con la propria coscienza e le proprie convinzioni.

[yasr_overall_rating]

 

Cosa rende un film meritevole di essere visto? La tematica impegnata, il cast, le scelte di sceneggiatura e messa in scena? No, a mio avviso quello che fa la differenza è la capacità di emozionare, e questo, di fatto, rende sterili le distinzioni tra cinema e non cinema – ciao, zio Scorsese, parlo con te.

Se i cinecomic Marvel riescono a lasciare qualcosa nel pubblico, se al di là degli effetti speciali e dell’azione mirabolante chi esce dalla sala poi si ricorda di loro e dei loro personaggi, ebbene questi hanno tutto il diritto di essere definiti film. Perché il cinema è tutto, non solo quello d’autore!

Taika Waititi (regista, tra l’altro, anche di “Thor: Ragnarok”, per restare in tema) ha corso un bel rischio con “Jojo Rabbit”, presentato al London Film Festival. Il film poteva ridursi infatti a una mera satira estremizzata ed eccessiva di un’ideologia, quella nazista, considerata oggi come un’emanazione del Male stesso. Una sorta di “Bastardi senza gloria” 2.0, dove i tedeschi in uniforme sono tutti brutti, cattivi e sadici.

Invece questo è il genere di film durante il quale si ride molto ma che alla fine ti lascia, inspiegabilmente (?), con un groppo in gola e le lacrime agli occhi. Quel genere di film che consiglieresti a tutti di vedere, anche ai puristi alla Martin Scorsese.

L’accostamento tra commedia e dramma, tra orrore e meraviglia è incredibile, fortissimo. Emerge a partire dalla prospettiva con cui viene portato avanti il racconto, ossimorica di per sé: quella di Jojo, un bambino di 10 anni, quindi per sua natura innocente, ma ariano convinto e con Hitler come amico immaginario.

Viene sottolineato ad ogni passaggio anche dalla colonna sonora, perfetta, che unisce hit come “I want to hold your hand” dei Beatles e pezzi di musica classica. Capita spesso che immagini e musica siano in contrasto evidente, e questo, invece di disturbare chi guarda, lo porta a soffermarsi ancora di più su quello che accade.

“Jojo Rabbit” è un film da vedere anche per gli attori che lo interpretano, tutti eccezionali. Se Roman Griffin Davis è un protagonista credibile, Taika Waititi un Hitler memorabile nelle sue contraddizioni, Sam Rockwell è Sam Rockwell – dopo “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” per me può fare quello che vuole, io lo adoro comunque! – è Scarlett Johansson a meritare la mia menzione speciale.

A poche settimane dalla performance in “Storia di un matrimonio” (Marriage Story), la Johansson interpreta nuovamente una madre, e lo fa benissimo. Il suo personaggio è sfaccettato, profondo, carico di umanità. La dimostrazione vivente che anche in tempi bui, soprattutto in tempi bui, si possono tirare fuori risorse che non si pensava neppure di avere. Perché fare la scelta giusta non sempre è facile, ma prendere posizione molto spesso è necessario.

Waititi ci porta per mano in un viaggio tra momenti teneri – tra tutti il giro in bicicletta di Jojo e la mamma – e altri crudi – lo scontro finale per le vie della città tedesca, i bambini con le armi in mano e poi, presumibilmente, portati via e trattati come soldati veri dagli americani vincitori mettono i brividi.

Ma alla fine ci si ritrova con Jojo ed Elsa sulla soglia della loro casa, tra le macerie ma con la voglia di ballare, non importa se la musica è soltanto nella nostra testa. Perché la vita non si ferma, perché la vita è bellissima. Chapeau!

 

Previous articleI FANTASTICI 4 | Federico Fellini: un genio dietro la macchina da presa
Next articleIntervista a Paolo Regina, autore del romanzo “Morte di un antiquario”
Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here