“L’amica geniale”: Elena Ferrante ci porta nel mondo napoletano e magico di Lila ed Elena

Il primo capitolo della tetralogia che ha incantato i lettori. L'infanzia delle due protagoniste, nella Napoli degli anni '50

Quello che mi è piaciuto di “L’amica geniale” è soprattutto la capacità di Elena Ferrante di portarci dentro la sua storia, di farci sentire i personaggi vicini, talmente vicini che si è tentati di considerarli dei conoscenti.

Quando, chiuso un romanzo, già non vedi l’ora di prendere in mano il seguito, per immergerti ancora nelle vite dei protagonisti… be’ penso che l’autore abbia fatto egregiamente il suo lavoro di cantastorie.

Le vicende parallele eppure per certi versi lontanissime di Elena (Lenù) e Lila forse non ci sono vicine per periodo storico e ambientazione geografica – a meno che, ovviamente, voi non siate cresciuti nella Napoli del primo dopoguerra. E ciò nonostante le descrizioni e il fluire della narrazione è così realistico e coinvolgente che le distanze spazio-temporali vengono annullate in poco tempo.

È un po’ come leggere una fiaba, ambientata in un paese lontano e in un’epoca relativamente remota, ed è con la curiosità di scoprire com’era la vita allora che ci si avvicina all’infanzia delle due protagoniste, ma allo stesso tempo sentimenti, emozioni e avvenimenti sono così universali che potrebbero essere accaduti a ognuno di noi (e chissà, magari qualcosa ci è successo davvero).

C’è realismo, in questo libro, ma anche un pizzico di magia e di inaspettato ed è questo che contribuisce al fascino complessivo del racconto.

Lila ha in sé qualcosa della fata, e della strega. Quando la conosciamo, bambina di sei anni cattiva e dispettosa, quando poi scopriamo insieme alla coetanea Elena le sue capacità sorprendenti – Lila sa leggere e scrivere, anche se il padre fa lo scarparo e nessuno in famiglia può averle insegnato -, avvertiamo che in lei c’è qualcosa di straordinario.

Questa luce tutta sua non si spegne, tutt’altro, quando dopo la scuola le viene impedito di studiare e si trova costretta nella vita quotidiana del rione – prima ad aiutare il padre in bottega, poi la madre nei lavori di casa.

Qualcosa dentro di noi grida per l’ingiustizia (perché una bambina così dotata deve essere costretta a rinunciare a un futuro per vivere nella mediocrità?), eppure ci si rende subito conto che a parlare è il nostro spirito post-modernista. Negli anni ’50 in Italia era naturale fermarsi alla licenza elementare e dopo iniziare a lavorare. Il destino di Lila è simile a quello che hanno affrontato migliaia di bambini e bambine di allora. Non è uno scandalo in senso assoluto, anche se porta ad arrabbiarsi perché siamo sensibili, e viviamo in un mondo molto diverso sotto questo punto di vista.

Ma comunque, messi da parte i libri di scuola, la luce di Lila non si spegne. Tutt’altro. Mano a mano che le due ragazzine crescono ci si rende conto che la sua caratteristica più importante, quella che la distingue dagli altri, quella che la fa brillare, non è solo l’intelligenza ma la fermezza.

Lila è una bambina e poi una giovane donna che non si fa spostare. È speciale perché ha progetti, idee, fantasie precise, diverse da quelle degli altri. Ma in nessun caso diventa piuma in balia degli eventi. Anche quando sono gli altri a decidere per lei c’è qualcosa di granitico e incrollabile nel modo con cui affronta quello che le succede.

Forse lo avrete già capito, per quanto non sia priva di difetti, tra le due eroine è certamente Lila, almeno per adesso, ad aver intercettato maggiormente le mie simpatie.

Elena, di contro, – anche se è dal suo punto di vista che veniamo a conoscenza degli eventi – quindi, per molti versi, dovrebbe avere un canale privilegiato per entrare in contatto con i lettori – non mi piace poi tanto. Vista dall’esterno appare fortunata, rispetto a Lila: può continuare a studiare, può costruirsi un futuro che sia lontano dal rione di provenienza. Eppure non fa altro che lamentarsi. Eppure le sue insicurezze da adolescente, per quanto comprensibili, danno sui nervi. Eppure la sua fissazione per l’amica mette un po’ i brividi.

Non è detto che a fronti invertiti – se fosse stata Lila a raccontare, Elena a comparire come personaggio principale di tutte le piccole e grandi vicende quotidiane – non avrei apprezzato più l’oggetto del racconto che il narratore. Può darsi. Perché raccontarsi in profondità è rischioso, emergono pregi e difetti, e ogni anche piccolo ragionamento e congettura viene messo a nudo. Elena appare come la ragazzina che è. Crescendo, forse, l’apprezzerò di più.

La fine del libro arriva troppo presto. Di certo non ero stanca di seguire le avventure di questo gruppo di personaggi. Anche perché l’ultima scena raccontata ne “L’amica geniale” lascia aperti una serie di interrogativi, di punti di domanda, che mi incuriosiscono terribilmente. Come proseguirà la storia? Dove andranno a finire le due amiche/nemiche? Come si evolveranno le rispettive vite? Al prossimo episodio per scoprirlo.

 

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