Facciamo una premessa (poco lusinghiera, me ne rendo conto, ma necessaria per far sì che capiate che dietro al mio commento non c’è facile buonismo o faciloneria): io a “L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome” di Alice Basso, edito da Garzanti, prima di iniziare a leggerlo, non davo neppure un euro.

Colpa dell’immagine in copertina, dell’uso della parola “scrittrice” nel titolo e della sinossi, che mi aveva preparata a entrare nel magico mondo dell’editoria. Di nuovo.

Se, come me, siete caduti vittime almeno una volta di qualche mossa di marketing spericolata in fatto di romanzi (così, ormai dovremmo saperlo, ci sono parole che risultano irresistibili, per un lettore, se campeggiano in copertina, e tutto quello che ha a che fare con i libri, la lettura, l’editoria attira il pubblico come il miele fa con gli orsi) non vi sarà difficile capire perché ero alquanto prevenuta.

Ebbene, questo libro è stata una gradita sorpresa! Perché non si limita a sfruttare dei leit-motiv di gran tendenza, proponendo una trama e dei personaggi triti e ritriti, ma racconta una storia particolare. Perché l’eroina – Silvana, “Vani”, Sarca, 34 anni non dimostrati, un lavoro come ghostwriter sottopagata per una casa editrice – è tutt’altro che canonica, e con il suo look dark, l’ironia, il fare dissacrante con cui si approccia a tutto e tutti risulta irresistibile.

Perché lo stile e il mix di suggestioni da cui la Basso attinge sono interessanti, degni di nota, ben orchestrati e gestiti – se si pensa poi che questo è il suo lavoro di esordio…

Soprattutto perché – e scusatemi se dal mio punto di vista questo è uno dei maggiori pregi – quando ho letto l’ultima riga ho sperato che l’autrice non avesse deciso di fermarsi qui, che fosse in programma un seguito (che in effetti ci sarà: “Scrivere è un mestiere pericoloso” uscirà il 12 maggio).

Alice Basso riesce nell’impresa tutt’altro che scontata di mescolare i generi letterari e di dar vita a un’architettura complessiva che non è solo originale ma riuscita e convincente. Così se il libro inizia come un romanzo contemporaneo, con la protagonista che sfrutta il suo particolare talento di empatizzare con gli altri per lavorare come ghostwriter in una casa editrice, nel proseguo della storia c’è spazio per il giallo, per la storia un po’ piccante e romantica, per la commedia pura e semplice.

Il merito della riuscita del libro va senza dubbio alla protagonista Vani, diversa da qualunque altra “eroina” letteraria voi abbiate mai incontrato. Taglio di capelli alla Lisbeth Salander, sarcasmo e cinismo a non finire, nessuna paura di essere se stessa.

Quando la conosciamo, nel presente, pensiamo di avere davanti una donna forte, indipendente, per certi versi difficile. La bravura dell’autrice sta anche nel fatto di saper arricchire, nel corso del romanzo, questa prima immagine. Così, attraverso dei flashback, veniamo a sapere come Vani è diventata quella che è – e scoprendo l’eterno confronto con la sorella minore perfetta, chi non si troverà a empatizzare, per una volta, con lei?

Confesso che quando la protagonista inizia la storia con Riccardo, scrittore italiano che deve il suo successo – ahinoi – proprio al lavoro certosino della nostra ghostwriter, e si lascia andare con lui, divenendo un po’ troppo simile a una donna innamorata, o comunque cotta, qualunque ho avuto paura… paura che il personaggio finisse per uscirne svilito! E invece, per fortuna, la storia spinge le cose in un’altra direzione. E lei non si perde. E lei, alla fine, ne esce più forte, cazzuta e agguerrita che mai.

La parte gialla della storia, forse, non è forte come le altre – il caso si risolve con troppa semplicità, per esempio. Ma con il personaggio del commissario Berganza – che sembra uscito, impermeabile e occhiaie, da un libro del genere – e con l’interazione tra lui e Vani la Basso riesce a dare anche a questa il suo spessore.

Nota di merito anche per l’ambientazione. Siamo sempre più abituati a leggere storie che si svolgono all’estero – Parigi, Londra e New York sono le città più gettonate -, tanto che talvolta dimentichiamo che anche un libro ambientato in Italia può essere riuscito e vincente. Da fare da cornice alla storia di Vani è l’altera e nobile Torino – e avendoci vissuto io per tre, magnifici, anni posso assicurarvi che la scrittrice ha saputo cogliere la magia cittadina, il suo carattere, i suoi scorci.

Non ho paura a ripeterlo: non mi aspettavo niente dal libro e ho finito per apprezzare tutto. Soprattutto lo stile – pungente, coinvolgente, senza fronzoli ma molto diretto – e la protagonista. Occhi puntati adesso sul secondo capitolo della saga, che spero non sia deludente, dopo un inizio così bello.

 

SCONSIGLIATO. PUNTO DI DOMANDA. Nì. CONSIGLIATO. IMPERDIBILE

 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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