“L’inverno dei Leoni”: recensione del romanzo di Stefania Auci

Nord pubblica la seconda e ultima parte della saga dei Florio, unici e indimenticabili

È uscito in libreria il 24 maggio, edito da Nord, L’inverno dei Leoni di Stefania Auci, che completa la saga aperta lo scorso anno da “I Leoni di Sicilia” (qui la mia recensione). Se quel romanzo aveva raccontato la parte ascendente della parabola dei Florio, questo è all’insegna della malinconia, e del declino.  

Hanno vinto, i Florio. Lontani sono i tempi della misera putìa al centro di Palermo, dei sacchi di spezie, di Paolo e di Ignazio, arrivati lì per sfuggire alla miseria, ricchi solo di determinazione. Adesso hanno palazzi e fabbriche, navi e tonnare, sete e gioielli. Adesso tutta la città li ammira, li onora e li teme. E il giovane Ignazio non teme nessuno.

Il destino di Casa Florio è stato il suo destino fin dalla nascita, gli scorre nelle vene, lo spinge ad andare oltre la Sicilia, verso Roma e gli intrighi della politica, verso l’Europa e le sue corti, verso il dominio navale del Mediterraneo, verso l’acquisto dell’intero arcipelago delle Egadi. È un impero sfolgorante, quello di Ignazio, che però ha un cuore di ghiaccio. Perché per la gloria di Casa Florio lui ha dovuto rinunciare all’amore che avrebbe rovesciato il suo destino. E l’ombra di quell’amore non lo lascia mai, fino all’ultimo…

Ha paura, invece, suo figlio Ignazziddu, che a poco più di vent’anni riceve in eredità tutto ciò suo padre ha costruito. Ha paura perché lui non vuole essere schiavo di un nome, sacrificare se stesso sull’altare della famiglia. Eppure ci prova, affrontando un mondo che cambia troppo rapidamente, agitato da forze nuove, violente e incontrollabili. Ci prova, ma capisce che non basta avere il sangue dei Florio per imporsi. Ci vuole qualcos’altro, qualcosa che avevano suo nonno e suo padre e che a lui manca. Ma dove, cosa, ha sbagliato?

Vincono tutto e poi perdono tutto, i Florio. Eppure questa non è che una parte della loro incredibile storia. Perché questo padre e questo figlio, così diversi, così lontani, hanno accanto due donne anche loro molto diverse, eppure entrambe straordinarie: Giovanna, la moglie di Ignazio, dura e fragile come cristallo, piena di passione ma affamata d’amore, e Franca, la moglie di Ignazziddu, la donna più bella d’Europa, la cui esistenza dorata va in frantumi sotto i colpi di un destino crudele.

Sono loro, sono queste due donne, a compiere la vera parabola – esaltante e terribile, gloriosa e tragica – di una famiglia che, per un lungo istante, ha illuminato il mondo. E a farci capire perché, dopo tanti anni, i Florio continuano a vivere, a far battere il cuore di un’isola e di una città. Unici e indimenticabili.

Come ho scritto in apertura, tanto “I Leoni di Sicilia” era “positivo” – nel senso che mostrava la parte ascendente della parabola della famiglia Florio – tanto in “L’inverno dei Leoni” si avverte un senso di ineluttabilità e di tragedia, anche quando, con Ignazio padre, le cose sembrano andare ancora bene. 

È difficile, dopo aver visto gli inizi della famiglia, la lotta per affermarsi e diventare “grandi” di Ignazio e Paolo, non provare per questi discendenti una certa empatia, non soffrire delle loro traversie, delle loro tragedie familiari (soprattutto) e della loro rovina economico-finanziaria. Eppure, insieme alla partecipazione, io ho provato anche un forte senso di fastidio… per gli sprechi e gli sperperi di denaro!

Certo, la vita a inizio Novecento, per i ricchi e gli aristocratici, questa era – balli, feste, ricevimenti, ostentazione di benessere – e non è che i Florio fossero peggiori degli altri, erano solo il prodotto del loro ambiente, eppure… leggere di spese folli, ricevimenti in pompa magna, cibo, fiori, gioielli e via discorrendo, contrapposti alla miseria in cui viveva la maggioranza della popolazione, ferisce in un certo senso la nostra sensibilità di contemporanei. 

Al netto delle considerazioni storiche e sociali, “L’inverno dei Leoni” conferma la maestria di Stefania Auci come narratrice, e la sua vicinanza alla storia che ha scelto di raccontare, la sua grande preparazione sulla materia. I personaggi sono vividi, palpitanti, emergono dalla pagina. Le vicende sono tratteggiate con grande attenzione ai dettagli e al periodo storico, che rivive con tutte le sue contraddizioni. Sentimenti e rigore quasi cronistico convivono, per un romanzo che è sia toccante che stilisticamente impeccabile. 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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