“L’ultimo Paradiso”: una storia d’amore e anarchia nella Puglia degli anni ’50

Riccardo Scamarcio convincente nel film di Rocco Ricciardulli disponibile su Netflix

Un film di Rocco Ricciardulli. Con Riccardo Scamarcio, Raffaele Braia, Valentina Cervi, Gaia Bermani Amaral, Antonio Gerardi. Drammatico. Italia 2021

Puglia, fine anni ’50. Ciccio Paradiso è un ribelle che non si piega davanti a nessuno. Ha moglie e figlio ma è innamorato di Bianca, con cui ha una relazione intensa e passionale. Bianca però è la figlia di Cumpà Schettino, un proprietario terriero che oltre ad abusare delle sue contadine più giovani sfrutta e taglieggia i braccianti. E poiché Ciccio non sopporta le prepotenze e le sopraffazioni è doppiamente inviso a Cumpà Schettino: incita i braccianti a ribellarsi, e amoreggia con sua figlia senza poter “fare di lei una donna onesta”. L’esplosione fra i due non tarderà ad arrivare, e avrà conseguenze tanto estreme quanto, a ben guardare, inevitabili.

 

Il secondo film da regista di Rocco Ricciardulli, “L’ultimo Paradiso”, disponibile su Netflix, è un’opera che funziona, ma solo a tratti.

Sfruttando la suggestiva ambientazione, ai confini tra Puglia e Basilicata, il film prova a raccontarci un pezzetto di storia italiana, lo sfruttamento dei proprietari terrieri e i primi tentativi di moti rivoluzionari per mano di uomini “ribelli”.

Ciccio Paradiso è una sorta di Masaniello della lotta comune, che si ribella alle ingiustizie dei latifondisti anche a costo di rischiare la vita e decide di non abbassare la testa.

Coinvolgente è senza dubbio l’aspetto sentimentale della pellicola, il melò. Ricciardulli rappresenta con maestria il sentimento assoluto che lega Ciccio e Bianca e che entra in contrasto con la violenza che si manifesta sullo sfondo.

Non manca qualche lacuna narrativa, e l’utilizzo del dialetto, senza sottotitoli, è quanto meno discutibile.

Buona la prova di Riccardo Scamarcio, che sembra stia attraversando una sorta di rinascita artistica. Impegnato in un doppio ruolo (non mi spingo oltre, per non rovinare l’eventuale sorpresa a chi ancora non avesse visto il film) non sfigura e non perde mai mordente.

Peccato per il finale, improvviso e quasi arrangiato, che arriva in media res praticamente senza preavviso, spiazzando e lasciando lo spettatore con la fronte aggrottata e con qualche interrogativo destinato a non avere risposta.

Previous article“La fortuna di Finch”: recensione del romanzo di Mazo De La Roche
Next article“Il delitto Mattarella”: un film “vecchia maniera”, tra omaggio e memoria
Concetta Piro
Nata a Napoli, a otto anni si trasferisce in provincia di Gorizia dove si diletta di teatro. Torna nella sua amata città agli inizi del nuovo millennio e qui si diploma in informatica e comincia a scrivere - pensieri, racconti, per poi arrivare al primo romanzo, "Anime". Nel frattempo ha cambiato di nuovo città e scenario, trasferendosi nelle Marche. Oggi conduce per RadioSelfie.it "Lo chiamavano cinema", un approfondimento settimanale sulla settima arte, e scrive articoli sullo stesso tema.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here