“L’ultimo viaggio”: alla ricerca dell’identità nazionale e personale

Nick Baker-Monteys dirige una pellicola che parte in modo dinamico per poi volgere al dramma

di Alessandra Pappalardo

 

Un film di Nick Baker-Monteys. Con Jürgen Prochnow, Petra Schmidt-Schaller, Suzanne von Borsody, Tambet Tuisk, Artjom Gilz. Drammatico, 107′. Germania, 2017

Eduard, a 92 anni, rimane vedovo. La figlia Uli vorrebbe metterlo in una casa di riposo mentre la nipote Adele nutre scarso interesse per il nonno. Ma Eduard ha deciso di andare a riprendersi il passato, quel passato che ha vissuto da cosacco durante la seconda guerra mondiale e in cui ha conosciuto il grande e impossibile amore. Parte così per l’Ucraina, terra ancora oggi di forti contrasti. A seguirlo, del tutto involontariamente, c’è Adele.

 

Eduard ha 92 anni, la moglie è morta al suo fianco mentre guardava la televisione. “L’ultimo viaggio” di Nick Baker-Monteys si apre con questo incipit in media res che dà subito slancio alla narrazione.

Senza dare troppe spiegazioni, l’uomo decide di prendere un treno diretto a Kiev, lasciando solo un laconico biglietto alla figlia Uli. Adele, quando riceve la notizia, prova a dissuadere il nonno, ma finisce per partire con lui alla volta dell’Ucraina.

Nel 2014, la situazione nel paese è tesa: il conflitto con la Russia sembra inevitabile, alcune zone sono interdette ai civili dall’esercito.

Adele ed Eduard hanno un rapporto distaccato, come se non si fossero mai conosciuti veramente. Riusciranno a colmare questa voragine emotiva e a trovare un punto di contatto? I pezzi della vita di Eduard si ricompongono a mano a mano che il viaggio prosegue, anche grazie a Lew, un ragazzo di origini russe cresciuto in Ucraina.

“L’ultimo viaggio” è un film sulla ricerca dell’identità personale e nazionale, sul senso di appartenenza, sulle guerre passate e quelle che incombono e sulla duplicità di visioni e sentimenti che tutto questo comporta. Ma è anche un film sulla famiglia, sui muri invisibili che creano spazi vuoti di silenzio e di non detto, sugli amori perduti.

Se l’incipit della storia è molto coinvolgente e dinamico, altrettanto non si può dire della parte centrale, che finisce per perdere brio lungo il cammino, mentre cresce la tensione drammatica.

Il film risulta, comunque, sufficientemente scorrevole e bisogna riconoscere il merito al regista Nick Baker Monteys di aver provato a trattare tematiche non semplici, mescolando il genere storico contemporaneo con il viaggio di formazione personale.

 

Previous article“Era giovane e aveva gli occhi chiari”: nel mezzo del cammin di nostra vita…
Next article“Io c’è”: una commedia ironica e dissacrante ma mai volgare
Parole a Colori
Un portale d’informazione che si occupa di cultura e spettacolo a 360°, con un occhio di riguardo per il mondo dei libri e dell’editoria, per il cinema, la televisione, l’arte.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here