“L’uomo che rubò Bansky”: un documentario che si fa thriller

Marco Proserpio parte dal racconto di quanto avvenuto nel 2007 per parlare di street art e diritto

Un film di Marco Proserpio. Con Iggi Pop, Carlo McCormick, Walidzawahrah, Mikael Cawanati, Stephen Keszler. Eventi, arte, 90′. Italia 2018

Nel 2007 lo street artist universalmente noto come Banksy mette la sua firma anche sui muri di edifici privati e pubblici in Palestina. Un gesto clamoroso che porta l’attenzione del mondo sul conflitto israelo-palestinese, “risolto” con l’edificazione, completata nel 2003, del costosissimo muro o “barriera diseparazione” tra i territori. In particolare, un suo murale, Donkey’s Documents, ritrae un soldato israeliano che controlla i documenti a un asino. L’opera non raccoglie l’entusiasmo di tutti ilocali: mentre un negoziante si sostiene vendendo con soddisfazione i souvenir ispirati alle sue opere, meta di pellegrinaggio da tutto ilmondo, e l’ex sindaco di Betlemme, Vera Baboun, lo esalta come un eroe contemporaneo, altri si sentono oltraggiati perché si sentono assimilati alle caratteristiche deteriori di quell’animale.

 

Una forma d’arte può essere allo stesso tempo legale e illegale? Un’opera, per quanto sprovvista di certificato di origine e attestazione, può rivelarsi un affare lucroso per commercianti e intermediari? La risposta è sì, se si parla di street art. E in modo particolare dai “pezzi” realizzati dallo writer inglese Bansky.

Potrebbe sembrarvi strano che io lo conosca, me ne rendo conto, ma dopo il clamoroso quanto curioso incidente verificatasi alla casta d’asta Sotheby (l’auto-distruzione di una sua opera, appena battuta per 1,2 milioni di dollari) era alquanto difficile rimanere all’oscuro.

Marco Proserpio ha utilizzato la figura di questo artista come escamotage per girare un documentario che può essere visto come una sorta di thriller artistico/politico.

“L’uomo che rubò Bansky” è un progetto durato sei anni, “nato inaspettatamente”, come ha ammesso lo stesso regista, un giorno che si trovava a Betlemme. Mentre era in taxi si sentì raccontare da Waild “The Beast” di quella volta che aveva organizzato il furto e la successiva vendita di un’opera di Bansky.

Correva l’anno 2007 e i più importanti esponenti della street art internazionale vennero invitati in Palestina per dare il loro personale contributo artistico nel denunciare la brutalità e gravità del muro eretto nel 2000 dal governo israeliano.

Banksy e la sua squadra realizzarono un murales dal titolo “L’asino con il soldato” che scatenò però la reazione indignata dei palestinesi. Nel mondo arabo essere paragonati a un asino è un insulto molto grave. Trovandosi il pezzo su un muro privato, questo venne tagliato e messo in vendita su eBay dal proprietario come forma di rivalsa sull’artista.

Proserpio ricostruisce con bravura, precisione e scaltrezza le tappe di questa vicenda utilizzando uno stile incisivo, chiaro e diretto, amplificato da un efficace montaggio e da un’azzeccata colonna sonora. Il racconto è impreziosito dalla voce di Iggy Pop che non soltanto consente allo spettatore di prendere fiato di tanto in tanto ma svolge anche la funzione di Grillo Parlante, ponendo domande fintamente retoriche che spingono alla riflessione.

“L’uomo che rubò Bansky” è un progetto ambizioso e creativo, che si presta a diverse chiavi di lettura. Lo spettatore entra in contatto con l’affascinante e bizzarro mondo dei collezionisti d’arte, con persone pronte a tutto pur di appendere in casa una certa opera. Ma dietro l’eccesso e le bizzarria, Proserpio effettua anche una scrupolosa indagine sull’arte e in particolare sulla street art e sulla sua continua evoluzione.

Il film arriva nei cinema italiani l’11 dicembre distribuito da Nexo Digital per un evento di solo alcuni giorni, e sarebbe davvero un peccato non conoscere il simpatico quanto saggio tassinaro Waild “The Beast” e non farsi raccontare di quella volta che rubò un Bansky…

 

Il biglietto da acquistare per “L’uomo che rubò Bansky” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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