La fabbrica delle meraviglie, Sharon Cameron

La fabbrica delle meraviglieIn una notte di nebbia Katharine arriva in una misteriosa tenuta vittoriana con l’incarico di controllare che l’eccentrico zio George non stia dilapidando il patrimonio di famiglia. Convinta di incontrare un uomo sull’orlo della follia scopre invece che lo zio è un geniale inventore e sostiene una vivace comunità di persone straordinarie come lui, salvate dai bassifondi di Londra. Aiutato dal giovane e affascinante Lane, George realizza creazioni fantasmagoriche: pesci meccanici, bambole che suonano il pianoforte e orologi dai mille ingranaggi. Ma Katharine comprende ben presto che una trama di interessi oscuri minaccia il suo mondo pieno di meraviglie e, forse, il destino di tutta l’Inghilterra. Una storia di formazione ricca di suspense e avventura, con una incantevole protagonista divisa tra ragione e sentimento. Una nuova Jane Eyre, un destino da riscrivere. La vita è come un orologio. Non è mai troppo tardi per avere la tua occasione. Basta portare indietro le lancette.

 

 

Un romanzo storico sui generis, che unisce l’ambientazione Ottocentesca (siamo infatti nell’Inghilterra del 1852) con elementi gotici, classici, romantici. In certi passaggi si ha la sensazione di trovarsi quasi in presenza di una storia di genere steampunk.

Non so se conoscete il termine – io l’ho scoperto guardando una puntata di America’s Next Top Model, pensate un po’. Con questa parola, in sintesi, si definisce un tipo di narrativa dove a un’ambientazione storica (molto spesso il XIX secolo e l’Inghilterra vittoriana) si accompagna una tecnologia per molti versi anacronistica. Armi, invenzioni, ingranaggi sono azionati dalla forza del vapore (steam, in inglese). L’atmosfera può essere descritta con un motto: “Come sarebbe stato il passato se il futuro fosse accaduto prima”.

Dopo questa premessa tecnica, torniamo a parlare del libro. “La fabbrica delle meraviglie” ha dalla sua il fatto di combinare spunti e suggestioni molto diverse tra loro. Non è il classico romanzo di formazione, dove la ragazza cresciuta in mezzo alle difficoltà guadagna la propria indipendenza, anche economica. Non è la classica storia d’amore, con il sentimento che nasce tra lei e lui, nonostante le differenze sociali e i problemi. È un romanzo multiforme e ricco, che unisce romanticismo, magia, stupore, un pizzico di horror.

Soprattutto l’ambientazione contribuisce a far spalancare gli occhi al lettore. La tenuta dove zio Tully vive nascosto dal mondo, passando le sue giornate tra i suoi giocattoli e la sua routine, viene descritta in maniera così vivida che sembra proprio balzare fuori dalla pagina. Non manca proprio niente, all’immensa magione. Passaggi segreti, porte nascoste, immensi saloni. E ancora, corridoi di collegamento che si perdono nelle profondità della casa, ovviamente illuminati dalla luce elettrica.

E poi due Borghi, di cui la protagonista ignorava l’esistenza, popolati di persone salvate dagli ospizi dei poveri della capitale, un canale, un laboratorio dove si compiono meraviglie. Quella descritta nel romanzo è una vera e propria comunità segreta, e autonoma. Mano a mano che Katharine scopre la portata e la dimensione del mondo che, lontano dalle orecchie e dagli occhi indiscreti di zia ***, è stato costruito a *** il quadro si arricchisce di particolari. E il lettore è al fianco della protagonista, nelle sue esplorazioni e nella sua crescita personale – e qui sta il bello.

I personaggi sono vividi, ben caratterizzati. Ma nonostante questo, la protagonista non mi ha presa del tutto. Ho seguito con interesse le sue vicende, ma non mi sono davvero emozionata. Penso che questo dipenda da me, e non dalla trama o dallo stile del romanzo. Diciamo che, nonostante la forza di carattere e il coraggio che alla fine Katharine dimostra, non mi sono sentita mai troppo vicina a questa 18enne del XIX secolo.

Sharon Cameron, se cercate una storia avvincente ma anche precisa nei dettagli e descrittiva quanto basta, vi conquisterà.

Quello che ha ben impressionato me è stato soprattutto il finale. La tentazione di dare a tutti un lieto fine deve essersi fatta sentire… e ciò nonostante l’autrice ha deciso di mantenersi sulla stravaganza, regalando ai lettori una conclusione dal sapore agro-dolce, che ci ricorda che non necessariamente per i “buoni” tutto fila liscio come l’olio, non subito almeno. E questa scelta lascia anche aperte tutte le porte, in caso l’autore volesse tornare a questa storia e a questi personaggi. Di cose da raccontare, possiamo giurarci, ce ne sarebbero ancora molte. Non ci resta che aspettare, per capire se la meraviglia avrà o meno un seguito.

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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