“La figlia dell’assassina”: un libro che non giudica ma spinge a riflettere

Giuliana Facchini firma per Sinnos un piccolo capolavoro, che affronta tematiche attuali e delicate

Ci sono libri che prescindono dalla fascia di età per cui sono stati, teoricamente, scritti e pensati, che si rivelano piccoli capolavori capaci di raccontare qualcosa a ogni lettore. Uno di questi è sicuramente La figlia dell’assassina di Giuliana Facchini, edito da Sinnos (che ringrazio per avermelo fatto scoprire).

La protagonista del romanzo è Rachele Clarke, una ragazzina di quattordici anni che vive con il padre Gerard, autore di storie per bambini e libraio, e il fratellino Joshua. La sua vita, da normale che era, si è fatta complicatissima in seguito a un evento imprevisto e drammatico. La madre Eva ha pugnalato a morte la sua commercialista, rea di averla truffata per anni, è stata condannata a 18 anni di carcere ed è in attesa del processo d’appello.

Rachele, Gerard e Joshua hanno dovuto lasciare Roma e trasferirsi in una cittadina di provincia, sistemandosi in una roulotte nel giardino di una famiglia di amici, per sfuggire alla curiosità morbosa della gente e dei giornalisti e provare a riprendere la loro vita. Solo che neppure mettere chilometri tra loro e quanto è successo “a casa” può servire a cancellarlo.

Lo scoprirà Rachele sulla propria pelle, quando si troverà oggetto dell’attenzione quasi morbosa di una coetanea che la spingerà ad allontanarsi per una giornata intera, portando anche il padre a interrogarsi sulla bontà o meno delle proprie scelte.

Quando avviene un fatto di cronaca nera si è portati a interrogarsi sulla vittima e sulla sua famiglia, talvolta a immedesimarsi. Ci si concentra anche sulla figura dell’assassino (o comunque del colpevole), cercando con insistenza di capire il perché del suo gesto. Dei cari di quest’utlimo tendiamo spesso a dimenticarci. Eppure anche chi uccide ha una famiglia, dei genitori, dei fratelli, un partner, magari persino dei figli.

La figlia dell’assassina” getta luce prima di tutto su questo aspetto, spesso ignorato. Come si può continuare la propria vita, quando una persona cara compie un atto irreparabile come può essere un omicidio? Quanto tempo occorre perché l’etichetta che viene cucita addosso sbiadisca? Si può davvero venire dimenticati e tornare ad essere “normali”?

Sono domande che spingono alla riflessione. A maggior ragione nella società contemporanea, dove “grazie” ai social network e in generale al web le notizie volano, condividere qualcosa con il mondo è estremamente semplice, generare fake news anche.

Al di là di questo primo aspetto, preponderante, in questo libro c’è spazio per parlare di adolescenza, bullismo, dinamiche di gruppo. Ma anche del potere della fantasia e dei libri, delle difficoltà di crescere dei figli e dell’importanza di ritagliarsi degli spazi personali dove poter essere se stessi al 100%. Il tutto in modo onesto, senza preconcetti o pregiudizi. La Facchini non punta mai il dito contro nessuno, non esprime giudizi, si limita a raccontare una storia e lasciare poi a ognuno il compito, se vuole, di trarre le sue conclusioni.

Siamo stati tutti tanto insensibili ed egoisti, a 14 o 15 anni? Abbiamo dato più importanza a cose come la reputazione, l’apparenza, l’opinione che di noi avevano gli altri rispetto alla possibilità di ferire qualcuno? E abbiamo agito in modo sventato, senza pensare alle conseguenze? Probabilmente sì. Perché l’adolescenza è un momento complicato, ieri come oggi. Perché le decadi che passano non cambiano l’essenza della cosa.

E anche alla luce dei recenti fatti di cronaca – come non pensare alla tragedia alla discoteca di Ancora – forse qualche adulto ben pensante, pronto a incolpare “la deriva del mondo giovanile di oggi” di ogni cosa, dovrebbe leggere questo libro e riflettere un attimo prima di esprimere giudizi.

Quello che della “Figlia dell’assassina” mi ha colpita in modo particolare, a ben vedere, è proprio la sua capacità di lanciare in modo sensato e non superficiale una serie di imput. Si affrontano tante tematiche delicate, per un libro di sole 141 pagine, eppure lo si fa con grande maestria. Non si ha mai la sensazione che un argomento sia buttata lì tanto per fare, tutto è sviluppato in modo perfetto.

Il racconto scorre in modo fluido, senza intoppi, nell’arco di sole due giornate – dalle 16:00 del 28 agosto alle 16:00 del 30 -, eppure, alla fine, si ha la sensazione di aver compiuto un lungo viaggio in compagnia di Rachele, Daria e degli altri personaggi. Un viaggio che, se considerato con attenzione, può averci anche fatto capire qualcosa in più su noi stessi.

 

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