La figlia sbagliata, Raffaella Romagnolo

Un sabato sera come tanti in una cittadina della provincia italiana. La tv sintonizzata su uno show televisivo, nel lavandino i piatti da lavare. Un infarto fulminante uccide il settantenne Pietro Polizzi, ma Ines Banchero, sua moglie da oltre quarant’anni, non fa ciò che ci si aspetta da lei: non chiede aiuto, non avverte amici e famigliari, non si preoccupa di seppellire l’uomo con cui ha condiviso l’esistenza. Comincia così un viaggio dentro la vita di una coppia normale: un figlio maschio, una figlia femmina, un appartamento decoroso, le vacanze al mare, la televisione e la Settimana Enigmistica. Ma è una normalità imposta e bugiarda, che per quarantacinque anni, per una vita, ha nascosto e silenziato rancori, rimpianti, rimorsi e traumi. E mentre giorno dopo giorno la morte si impadronisce della scena, il confine fra normalità e follia si fa labile.

Non è facile raccontare il presente, e il passato prossimo, con sguardo obiettivo, non cedendo alla tentazione di inserire troppo buonismo e melassa in una storia solo per smussare un po’ gli angoli e non risultare indigesti.

I lettori – seppure scafati e abituati a trovarsi davanti le peggiori efferatezze, non solo tra le pagine di un romanzo ma anche nella vita di tutti i giorni – forse non lo ammetteranno mai, ma si aspettano il lieto fine, almeno quando si parla di un’opera di fantasia. Il mondo è già abbastanza terribile, per far finire male anche i romanzi!

È un punto di vista. Capita spesso che gli autori si facciano contagiare da questo bisogno collettivo di happy ending, accontentando quindi il pubblico e dando ai loro libri una piega che, forse, non è la più giusta possibile.

Quello che ho amato del libro “La figlia sbagliata” di Raffaella Romagnolo, nel lotto dei candidati per il Premio Strega 2016, è proprio il suo andare controcorrente, il suo essere realistico al limite del cinico, tanto obiettivo e duro da fare male.

Questa è una lettura che non può in alcun modo lasciare indifferenti, che colpisce al petto con la forza di un pugno. Perché porta in luce gli scheletri nell’armadio di una coppia normale, di una famiglia normale. Una famiglia come tante ne vediamo tutti i giorni, una famiglia come la nostra, magari. Un marito, una moglie, due figli, un maschio e una femmina. L’uomo che lavora e porta a casa lo stipendio, la donna che si occupa di crescere i bambini. Istantanea da Mulino Bianco non pensate?

Invece dietro la superficie si nascondono un groviglio di segreti, rancori, bugie, che restano nascosti per oltre 45 anni, fino al momento in cui Ines, con accanto il corpo senza vita del marito Pietro, stroncato da un infarto fulminante, non inizia questo viaggio a ritroso nella memoria e nell’esistenza, svelando a poco a poco quello che è andato – e soprattutto quello che non è andato.

La cosa interessante della “Figlia sbagliata”, l’elemento che di questa vicenda ci tocca profondamente e ci fa riflettere, è proprio il fatto che gli scheletri nell’armadio a cui accennavo sopra non siano chissà cosa. Non vi aspettate di scoprire che Ines ha una doppia vita, che ha lavorato come ballerina in locali malfamati o come escort, oppure che Pietro ha ucciso qualcuno, nei suoi anni da camionista. Quello che la superficie di normalità di questa coppia nasconde è un intrico di non detti molto più normali, un passato normale che ha portato però a questa degenerazione finale – e così ecco la moglie che si accorge che il marito ha avuto un infarto, ma non chiama aiuto, non si dispera, finge semplicemente che non sia successo niente; ecco la madre che vede comparire il figlio e tavola, tanto reale e concreto da poterlo disegnare.

Pagina dopo pagina ci troviamo a chiederci: come si è potuto arrivare a tanto? Chi ha sbagliato? E quando? E il fatto di non riuscire a individuare una risposta chiara, un colpevole chiaro, ci fa paura. Perché se una famiglia normale e felice come quella dei Polizzi è finita così… cosa potrebbe succedere alle nostre famiglie, che crediamo altrettanto normali e felici?

Raffaella Romagnolo compone con grande maestria uno spaccato di normalità e follia quotidiana, un romanzo che inizialmente crediamo neutro, come tanti altri, e poi si trasforma sotto i nostri occhi in qualcosa di completamente diverso.

Se la grande narrativa ha il compito di far riflettere le persone, di portare ognuno a guardarsi dentro per capire, attraverso le storie di altri, meglio se stesso e il mondo che lo circonda, penso che “La figlia sbagliata” possa inserirsi nel filone senza difficoltà. Per la sua forza, e la sua capacità di farci mettere tutto in dubbio. E per il messaggio finale che mettiamo a fuoco quasi senza accorgercene, alla fine di tutto: non dare niente – e nessuno – per scontato. Perché non si sa mai come potrebbe andare a finire.





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