“La morte legale”: nel backstage del film “Sacco e Vanzetti”

A tu per tu col regista Giuliano Montaldo e con gli altri protagonisti di una pagina epica della storia del cinema

Un film di Silvia Giulietti, Giotto Barbieri. Con Luigi Botta, Lorenzo Tibaldo. Documentario, 52′. Italia 2018

La colonna sonora, “Here’s to you”, di Ennio Morricone e Joan Baez diventa simbolo di libertà e di difesa dei diritti umani, esaltando le coscienze dei giovani di tutto il mondo. A 90 anni dall’esecuzione e a 50 dalla riabilitazione, “Sacco e Vanzetti” di Giuliano Montaldo rivede la luce in una versione restaurata. Ed è l’occasione per raccontare lo straordinario lavoro del regista.

 

Il cinema moderno conserva ancora una funzione sociale, politica, civile o è ormai divenuto esclusivamente un’industria commerciale, votata al mero profitto e alla creazione di effimeri eroi e vacui modelli?

Lo spettatore cinico non esiterà a rispondere la seconda, mostrando magari i risultati del box office. Eppure c’è stato un tempo in cui la settima arte aveva un ruolo, era parte integrante dei movimenti di protesta, faceva da megafono per messaggi rilevanti.

“La morte legale” di Silvia Giulietti e Giotto Barbieri non è solamente un documentario sul backstage di una pellicola degli anni ’70 (Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo), ma anche il racconto di come quel film si rivelò decisivo per iniziare l’iter di riabilitazione dei due anarchici italiani ingiustamente arrestati nel 1920 negli Stati Uniti e condannati a morte.

“La morte legale” è un intenso, appassionato e vivido viaggio nella memoria cinematografica, produttiva e soprattutto umana, realizzato sotto forma d’intervista al maestro Giuliano Montaldo che rievoca con emozione e sincerità la genesi del suo film, fin dal primo contatto con la storia di Sacco e Vanzetti avvenuto per caso a Genova.

Un progetto ambizioso e storico, il suo, che non suscitò l’immediato interesse dei produttori, costringendolo a “girovagare quasi con il cappello in mano” da un finanziatore all’altro finché incontrò Arrigo Colombo, fuggito in America dopo l’approvazione delle leggi razziali del 1938, che per imparare l’inglese aveva letto le lettere scritte da Vanzetti al Comitato di Difesa.

“Fu un vero colpo di teatro, il primo di molti” dice sorridente Montaldo, e in effetti, proseguendo nella visione del documentario e ascoltando il racconto suo e della moglie e prima assistente Vera Pescarolo ci si rende conto che la pellicola, in più di una circostanza, è stata come spinta da una mano invisibile verso un felice esito.

La scelta lungimirante del regista di volere Gian Maria Volonté per il ruolo di Bartolomeo Vanzetti e Riccardo Cucciolla per quello di Nicola Sacco, resistendo alle pressioni dei produttori francesi, fu ripagata dalla straordinaria alchimia umana e artistica che si instaurò tra i due attori. Allo stesso modo vincente la volontà di avere Rosanna Fratello, cantante affermata ma attrice esordiente, per interpretare Rosa Sacco.

Il film “Sacco e Vanzetti” è entrato nel cuore di milioni di persone anche per merito della meravigliosa e incisiva colonna sonora firmata da Ennio Morricone e in modo particolare per la balla conclusiva, “Here’s to you”, cantata da Joan Baez e divenuta l’inno di una generazione.

“La morte legale” racconta come la magia e la bellezza del cinema si siano unite all’impegno civile e al desiderio di giustizia di intellettuali, giuristi e persone comuni che, scosse dalla pellicola di Montaldo, diedero vita a un comitato internazionale impegnato a riabilitare la memoria dei due anarchici italiani vittime di una clamorosa persecuzione giudiziaria.

“Non può esserci vera democrazia in un Paese quando per fare giustizia si toglie la vita a un’altra persona”, sono le parole ripetute dal regista e dagli altri intervistati durante il documentario, parole che spingono alla riflessione.

Al termine della cerimonia pubblica di riabilitazione dei due anarchici nel 1977 un signore andò ad abbracciare Giuliano Montaldo, ringraziandolo per quanto fatto. Era un nipote di Nicola Sacco. Un ricordo che ancora oggi commuove il regista e tutti quelli che ancora credono in un cinema capace di smuovere la coscienza e cambiare il mondo.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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