Qualche giorno fa, sui social, un’utente mi ha scritto che dovrei riflettere sul mio modo di avvicinarmi ai romanzi degli altri, e di recensirli, e fare autocritica. Le sue parole mi sono tornate in mente al momento di scrivere le mie osservazioni su “La posta del cuore della señorita Leo” di Ángeles Doñate, edito da Feltrinelli.

Una recensione deve essere sempre e comunque positiva? Dal momento che noi non siamo al pari dell’autore ics – su questo ci sarebbero da spendere fiumi di inchiostro, ma soprassediamo! – non possiamo permetterci di avere un pensiero critico sul suo lavoro? Ho riflettuto sulla questione, e personalmente credo che la risposta alle due domande sia “no” – con buona pace dell’utente in questione, che probabilmente approfitterebbe della mia affermazione per ribadire che sono autoreferenziale, intellettualoide e poco umile.

Sia come sia. Io credo che ogni lettore, leggendo un libro, sviluppi un proprio pensiero, che non sarà mai uguale a quello di un altro. E che non necessariamente sarà entusiastico. Un libro può piacere e può non piacere – ciò non significa che chi lo ha scritto sia un incapace o che chi dice: “Non mi piace” detenga la verità suprema. È un pensiero, e come tale va preso.

Personalmente – e sottolineo personalmente – ho trovato “La posta del cuore della señorita Leo” non del tutto convincente. La storia aveva un grande potenziale, proponendosi di raccontare la Spagna a ridosso della fine della dittatura di Franco e della riconquista della libertà attraverso le storie intrecciate di alcuni personaggi – la giovane Elisa, stanca di vivere; il giovane Toño, amante del disegno; la madre di lui Sole, imprigionata in un matrimonio finito; Aurora, soprattutto, una delle voci del seguitissimo programma radio che da il titolo al libro.

A mio avviso, però, tutte queste storie non sono state sviluppate a dovere – o meglio, sono state sviluppate in modo troppo frettoloso. Il tempo passa a grande velocità, in questo libro, e se da una parte questo non da modo di annoiarsi, dall’altra si ha sempre la sensazione di aver perso qualche passaggio, o che l’autrice abbia sacrificato qualche passaggio.

Prendiamo ad esempio il personaggio di Elisa. All’inizio della storia conosciamo una ragazza scoraggiata, sull’orlo dell’autodistruzione, troppo segnata – insieme alla sua famiglia – dalla morte anni prima del suo fratello gemello. L’incontro con Toño è la spinta per un cambiamento generale, ma il rapporto tra i due si forma in modo troppo frettoloso… Da essere estranei a essere fidanzati e innamorati il passo è molto breve. Sarebbe stato bello sapere di più di quello che ha portato da un estremo all’altro, vedere il rapporto sbocciare e cementarsi.

Questo perché la prosa di Ángeles Doñate è davvero piacevole da leggere, i suoi personaggi sono vividi e traboccanti di vita, la loro Barcellona incantevole. Ammetto di essere di parte, quando si tratta di storie ambientate nella città spagnola che è da sempre una delle mie preferite in assoluto. Ma in questo caso l’autore ha saputo davvero rimandare tutta la complessità della sua atmosfera, l’aria che vi si respira, i cambiamenti, anche minimi, da un quartiere all’altro, da una strada all’altra.

Alla fine del libro, forse, ci si sente un po’ insoddisfatti solo perché si sarebbe voluto che questa storia – e la lettura – durassero più a lungo. Perché si finisce per affezionarsi alla señorita Leo e a tutti gli altri, protagonisti di un mondo che consideriamo ormai lontano anni luce ma che in realtà trova posto soltanto da poco tempo nei libri di storia.

 

SCONSIGLIATO. PUNTO DI DOMANDA. . CONSIGLIATO. IMPERDIBILE

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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