“La tigre bianca”: quando un possibile riscatto arriva solo dall’illegalità

Adarsh Gourav e Priyanka Chopra nel film di Ramin Bahrani disponibile su Netflix

Un film di Ramin Bahrani. Con Adarsh Gourav, Priyanka Chopra, Rajkummar Rao, Mahesh Manjrekar. Drammatico, 125′. India, USA 2021

Balran Halwai, ricco fondatore di una startup di Bangalore, racconta in una lettera indirizzata al primo ministro cinese la sua storia. Nato in un povero villaggio del nord dell’India, figlio di un guidatore di risciò, accetta di fare i lavori più umili al servizio di due criminali locali pur di elevare la sua posizione. Divenuto autista di Ashok, figlio di uno dei due, scopre che anche tra i padroni agiati si possono nascondere gli esseri umani. Ma uno sfortunato incidente ristabilirà i precedenti equilibri e le rigide gerarchie della società indiana.

 

Non me ne vogliamo gli amanti del cinema e più in generale quelli della cultura e della spiritualità indiana, ma dopo essermi sorbito le due ore di “La tigre bianca”, disponibile su Netflix, mi sono chiesto cosa abbia pensato la giuria del Booker Prize per assegnare al romanzo omonimo di Aravind Adiga, da cui è tratto il film, l’ambito riconoscimento nel 2008. 

Ho immaginato due scenari: o il romanzo è effettivamente ben scritto e meritevole, ma il regista e sceneggiatore Ramin Bahrani l’ha banalizzato, impoverito, stravolto (negativamente) per esigenze cinematografiche, oppure il romanzo è poca cosa, sopravvalutato a suo tempo, e il “povero” Bahrami non ha potuto fare miracoli con l’adattamento.

“La tigre bianca”, a livello narrativo, ruota intorno a due/tre idee interessanti di stampo esistenziale, politico e sociale, condite con una buona dose di cinismo e cattiveria. Queste non bastano, però, a giustificare l’eccessiva lunghezza e verbosità del film.

Balran Halwai (Gourav) è sia voce narrante che protagonista, attraverso l’escamotage della lettera scritta al premier cinese. Una lettera che si trasforma in una sorta di confessione o meglio di “J’accuse”, dove vengono evidenziate tutte le contraddizioni della società indiana, classista, corrotta, malata. 

Halwai lo ripete diverse volte nel corso del film: “Il dominio dei bianchi sta per finire. Questo secolo sarà dei gialli e marroni”. Cina e India stanno compiendo passi da giganti in campo economico e industriale, mettendo pressione agli Stati Uniti e alla vecchia Europa. Due superpotenze accomunate anche dal fatto di avere, al loro interno, profonde diseguaglianze economiche, sociali e culturali.

Da bambino Balran ha dimostrato di avere grandi potenzialità nello studio. L’improvvisa morte del padre lo ha portato però a dove accettare lavori umili e servili. Eppure lui si sente “una tigre bianca”, diverso dai coetanei, e farà di tutto per ribaltare il proprio destino già scritto.

Il film si gioca molto sul dubbio amletico del protagonista: rispettare l’ordine prestabilito e le tradizioni, servendo umilmente chi si trova più in alto di lui, oppure rompere la catena ed ergersi a novello Spartaco?

Ramin Bahrani firma un racconto cupo, realista, crudo che consente allo spettatore di conoscere un’India diversa. Peccato che l’intreccio ripetitivo, dispersivo e caotico e una certa superficialità nell’introdurre e descrivere i personaggi annacqui pesantemente la carica sovversiva della storia. 

La seconda frase-chiave pronunciata da Balran, “I poveri hanno due possibilità per cambiare vita: il crimine o fare politica”, racchiude il senso di un finale amaro, disarmante quanto “gattopardesco” in salsa indiana.

 

Il biglietto da acquisto per “La tigre bianca” è:
Nemmeno regalato. Omaggio (con riserva). Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

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