L’amante giapponese, Isabel Allende

L’epica storia d’amore tra la giovane Alma Belasco e il giardiniere giapponese Ichimei: una vicenda che trascende il tempo e che spazia dalla Polonia della Seconda guerra mondiale alla San Francisco dei nostri giorni. “Ci sono passioni che divampano come incendi fino a quando il destino non le soffoca con una zampata, ma anche in questi casi rimangono braci calde pronte ad ardere nuovamente non appena ritrovano l’ossigeno.”

Un libro estremamente poetico e delicato, nonostante affronti una serie di tematiche tutt’altro che leggere o banali – vecchiaia, malattia, suicidio assistito, abusi sui minori, tragedie della seconda guerra mondiale.

Un libro che non è soltanto una storia d’amore, per quanto epica, come la sinossi lascia intendere, ma una narrazione corale, precisa e magistrale, dove i sentimenti si avvicendano, le storie si intrecciano, gli anni scorrono davanti agli occhi di chi legge come fotografie dai colori vivaci.

Penso che in questo caso valga il discorso per cui, se un narratore è un grande narratore, se ha un suo stile, convincente, leggibile, se riesce a raccontare una storia in modo impeccabile, unendo bravura tecnica e capacità di emozionare, la storia in questione possa essere praticamente qualunque, il libro uscirà bene comunque.

Per me Isabel Allende rientra nella categoria dei grandi narratori. Ho letto molti suoi libri – dal capolavoro per eccellenza “La casa degli spiriti” a titoli come “Zorro”, “Ines dell’anima mia”, “L’isola sotto il mare” – e ogni volta sono stata preda di una sorta di magia, una magia che mi ha trasportata altrove.

Tutti i romanzi che ho letto hanno in comune il fatto di essere, a loro modo, storici, di non essere ambientate nel presente, ma nel passato. Sono curiosa di provare qualcosa di contemporaneo (come “Il gioco di Ripper”) per capire se l’incantesimo si ripete anche quando lo spazio e il tempo non cambiano.

Perché anche “L’amante giapponese” rientra nel filone dei romanzi storici, per quanto a suo modo. Se infatti da un lato inizia nel presente, raccontando il microcosmo tutt’altro che allegro di una casa di riposo californiana, nella cittadina di Berkeley, nella Bay Area a pochi chilometri da San Francisco, dall’altro, andando avanti, sposta comunque il punto di osservazione, portando il lettore indietro nel tempo, dalla fine degli anni ’30 del Novecento in avanti. Le epoche si susseguono, i costumi cambiano, e chi legge si muove insieme al tempo.

Ma non si tratta solo di un romanzo storico. La storia di Alma e della famiglia Belasco nel loro svilupparsi nel corso del Novecento si intreccia a doppio filo con quella di Irina, dei residenti della casa di riposo, del giovane Seth. Sono piani diversi che finiscono per incontrarsi, che insieme assumono molti significati, che si danno spessore.

I fatti del passato acquisiscono una luce diversa mano a mano che si scoprono dettagli in più, alcuni personaggi riemergono da dove erano spariti, i segreti vengono poco a poco alla luce. Quando dico che il libro l’Allende l’ha costruito con la consueta maestria mi riferisco a questo.

Ma anche al fatto di aver saputo trasmettere un’emozione, di lasciare al lettore un’impressione forte. Quando ho chiuso “L’amante giapponese” ero triste, ero provata, ma ero anche felice.

La vita di Alma Belasco si chiude come si chiude un cerchio, quella di Irina e Seth si proietta nel futuro. Non si può non essere tristi per la vecchia signora che se ne va, scortata dall’amore della sua vita, il giapponese Hichimei.

Ma allo stesso tempo, cosa si può desiderare di più, da una vita, che amare profondamente ed essere amati a nostra volta? Andarsene con la consapevolezza di aver vissuto qualcosa di normale eppure a suo modo eccezionale, di avere avuto vicino qualcuno che ti ha completato è di per sé una grande consolazione. Rende un’esistenza completa. Chiude il cerchio.


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