“Le livre d’image”: il cinema di Godard si sublima nel montaggio

Una pellicola di difficile definizione, che amalgama immagini di repertorio del passato e del presente

Un film di Jean-Luc Godard. Drammatico, 90′. Francia, 2018

Godard si ripete ed è giusto così, perché Godard è Godard, una tautologia, una figura del discorso. E il suo ripetersi è sempre diverso e uguale a se stesso. È ancora e sempre dalla parte del montaggio, protagonista assoluto del suo cinema e inteso naturalmente come stimolatore di questioni morali, che il regista spinge in superficie, inanellando le immagini dell’Olocausto con quelle dell’orrore contemporaneo, con la storia (anzi le storie) del cinema e le interferenze degli eventi, e domandandoci (a suo modo, per affermazione) se l’atto della rappresentazione non implichi quasi sempre una violenza verso l’oggetto della rappresentazione stessa. Ma questa è solo una delle tante questioni, gettate come sassi nell’acqua dalla voce profonda e monocorde dell’autore. Abbiamo sbagliato tutto, dice, perché abbiamo santificando i testi – la Bibbia, il Corano, la Torah, i Dieci Comandamenti- mentre ci vorrebbe – e questo lo dice il montaggio – un Livre d’image.

 

Un inviato giovane può ardire di avanzare qualche critica al cinema di un maestro del calibro di Jean-Luc Godard o dovrebbe soltanto ritenersi fortunato di poter assistere a una sua proiezione, fermandosi lì?

Me lo sono chiesto, dopo aver visto “Le livre d’image”, presentato in concorso a Cannes, insieme ad altri illustri critici cinematografici presenti in sala, piuttosto infastiditi nel notare come i colleghi più giovani non avessero colto l’essenza artistica e drammaturgica del film.

Loro la risposta se la sono evidentemente già data, io ancora la sto cercando.

Il dilemma resta: come comportarsi, nei confronti di un’opera di Godard? Cosa scrivere per evitare di cadere nel peccato di lesa maestà verso un mostro sacro della settima arte ma al contempo non ingannare chi legge, sperticandosi in lodi di un qualcosa che forse non ne merita così tante?

Dovrei lasciarmi ispirare dal ragioniere Ugo Fantozzi? Definire “Le livre d’image” una straordinaria, intensa, avvolgente fantasticheria di Godard? Copiare qua e là le recensioni già pubblicate online? O magari scrivere la mia prima lettera aperta del Festival, indirizzandola al delegato generale Thierry, per chiedere ragione dell’inserimento di questo film nel concorso principale?

Temo che qualunque approccio finirebbe per risultare sbagliato. Aspettando di ricevere l’illuminazione, dovrete accontentarvi di questa recensione immaginaria.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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