“Le mezze verità”: recensione del romanzo di Elizabeth Jane Howard

Fazi editore pubblica questa commedia sfaccettata e brillante che sfocia, inaspettatamente, nel noir

Se c’è qualcosa che amo in modo particolare di Elizabeth Jane Howard sin da quando Fazi me l’ha fatta scoprire nel 2014 attraverso “Il lungo sguardo“, è la sua modernità assoluta. Non importa che i suoi romanzi siano stati scritti cinquanta o più anni fa, non dimostrano affatto la loro età anagrafica!

Il discorso vale anche per Le mezze verità, in uscita oggi, 17 ottobre. Una commedia sfaccettata e brillante che sfocia, inaspettatamente, nel noir ma soprattutto che mette al centro del racconto le infinite declinazioni dell’amore, da quello familiare a quello passionale, da quello coniugale a quello che, a ben vedere, amore proprio non è.

May Browne-Lacey ha sposato in seconde nozze il Colonnello Herbert. Entrambi hanno figli dai precedenti matrimoni e vivono in una casa di singolare bruttezza nelle campagne del Surrey, fortemente voluta dall’uomo e acquistata con l’eredità di May. Alice, la figlia di Herbert, si sta per sposare, più per fuggire dal padre che per amore.

Il Colonnello non piace nemmeno ai due figli di May, Oliver ed Elizabeth: lo considerano un borioso tiranno che si comporta in modo strano e opprime la madre. Oliver, un ventenne brillante e ironico, abita a Londra, non ha un lavoro stabile e vorrebbe tanto sposare una donna ricca che lo mantenga. Elizabeth, la sorella minore, che nutre un complesso di inferiorità nei suoi confronti, è una ragazza ingenua e sentimentale.

Quando quest’ultima decide di trasferirsi a casa del fratello per cercare lavoro, May, rimasta sola nel Surrey con Herbert, inizia a pentirsi amaramente di averlo sposato. Intanto Elizabeth trova lavoro e anche l’amore, Oliver cerca la sua ereditiera mentre si fa mantenere dalla sorella, e Alice, incinta e infelice, vorrebbe scappare di nuovo.

Una famiglia, allargata, sull’orlo di una crisi di nervi, i protagonisti di “Le mezze verità” sono ognuno infelice e insoddisfatto a suo modo, incapace di prendere di petto il problema che davvero lo affligge.

Ho trovato la scrittura della Howard brillante, scorrevole, come di consueto piacevolissima – merito anche della traduzione di Manuela Francescon che a mio avviso rende giustizia al respiro e al passo del racconto. Perfetto il bilanciamento tra dialoghi e descrizioni, tra parti introspettive e parti, più propriamente, “d’azione”.

Questo è un libro che non annoia, è un libro la cui lettura non stanca (fatto ancor più notevole se, come accennavo prima, si pensa che è stato scritto nel 1969). Sembra quasi di avere tra le mani un feuilleton uscito a puntate, una saga familiare che, capitolo dopo capitolo, è capace di stupire e lasciare esterrefatti. Fino ad arrivare al finale, incisivo, tremendo, perfetto.

 

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