“Leila e i suoi fratelli”: tra critica alla società iraniana e intrattenimento

Il film di Saeed Roustayi, nonostante i difetti, riesce nell'intento di intrigare e scuotere

Un film di Saeed Roustayi. Con Taraneh Alidoosti, Navid Mohammadzadeh, Payman Maadi, Farhad Aslani, Mohammad Ali Mohammadi. Drammatico, 165′. Iran 2022

Leila e i suoi quattro fratelli vivono un momento di crisi economica da cui però potrebbero sperare di risollevarsi se non fosse per ciò che il loro anziano padre ha deciso di accettare. Gli è stato infatti proposto di diventare il padrino al matrimonio del primogenito di una famiglia potente che lo ha sempre tenuto a distanza. Per l’uomo l’invito rappresenta un’occasione unica di riscatto sociale ma questo porterà con sé più di un problema all’interno del nucleo familiare.

 

La saggezza popolare ci insegna che i soldi non danno la felicità, ma nel corso degli anni, crescendo e soprattutto ingoiando tutta una serie di bocconi amari, realizziamo che servono e non poco. Soprattutto per mantenere la pace familiare.

C’è un’eredità, morale prima che economica, che i genitori dovrebbero lasciare ai figli? Le teorie si sprecano, in tutti le parti del mondo.

Ce lo conferma Saeed Roustayi nel suo “Leila e i suoi fratelli”, presentato a Cannes nel 2022. Nelle quasi tre ore di film (oggettivamente troppe) vengono raccontate le contraddizioni, le bizzarrie e gli egoismi della società iraniana, imbevuta di maschilismo e sospesa tra fatalismo e nichilsmo.

Fitti dialoghi, litigi, scontri verbali e urla punteggiano la sceneggiatura. In certi momenti sembra di assistere alla versione iraniana di un film di Muccino, in altri lo stile di racconto e la messa in scena appaiono da soap opera.

Nonostante le brusche e nette oscillazioni di genere, la visione è nel complesso interessante e godibile. Non puoi fare a meno di andare avanti, per scoprire quali saranno le prossime mosse e litigi tra i personaggi.

I fratelli dei Leila subiscono la vita, accettano una condizione di miseria, assecondano l’egoismo del vecchio padre. Leila è l’unica che lavora, oltre a non accettare questo stato di cose. Si ribella al declino etico ed economico della famiglia, sprona i quattro fratelli ad aprire un’attività propria, ad uscire dal cono d’ombra paterno e acquisire finalmente una dignità lavorativa e personale.

“Leila e i suoi fratelli” descrive una cultura patriarcale soffocante, l’inerzia esistenziale e caratteriale dei quarantenni di oggi e la coraggiosa (quanto vana?) lotta delle donne iraniane per cambiare le cose, almeno in casa propria.

Sicuramente non è il film migliore del concorso, eppure è riuscito nel compito di trasmettere l’idea di una famiglia e di una società da cui è difficile uscire indenni. Apprezzabili anche le interpretazioni degli attori, capaci di sostenere dialoghi quasi logorroici senza risultare fastidiosi.

Se Taraneh Alidoosti nel ruolo di Leila ha dimostrato talento e personalità nel suo ruolo del collocante narrativo, emozionale e stilistico, la piacevole scoperta è Saeed Poursamimi che nel ruolo del padre bramoso solo di diventare patriarca si è guadagnato il centro della scena, sovvertendo le prime, errate impressioni e conferendo profondità e senso al suo personaggio anacronistico.

Un film consigliato a chi ha in corso dispute economiche e non in famiglia. Vedendolo il malcapitato potrà trovare ispirazione, conforto, e anche il sentito consiglio di ascoltare le sorelle, almeno quando la loro visione è più lungimirante.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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