“Love Life”: Kôji Fukada e le distanze, reali e metaforiche, che ci separano

Un film dall'estetica e dalla regia convincenti a cui manca, però, la capacità di coinvolgere

Un film di Kôji Fukada. Con Fumino Kimura, Kento Nagayama, Atom Sunada.
Drammatico, 123′. Giappone 2022

Taeko vive felicemente con il giovane sposo Jiro e il piccolo Keita, nato da una relazione precedente. Tutto ciò che desidera è l’approvazione di suo suocero, che stenta ad arrivare. Un incidente domestico riscrive però improvvisamente la vita di Taeko e di chi le sta vicino e determina il ritorno del padre biologico di Keita, Park, di cui la donna non aveva notizie da anni.

 

Questa volta vorrei cominciare con un paio di domande (retoriche). Avevamo bisogno che il regista giapponese Kôji Fukada ci offrisse il suo punto di vista sull’elaborazione del lutto? Che ci proponesse la versione in salsa giapponese de “La stanza del figlio”?

Visto il risultato finale, la mia risposta è, chiaramente, no. Ma probabilmente il caro direttore Barbera sentiva il bisogno di arricchire il concorso della Mostra del cinema di Venezia con questa tematica…

“Love Life” non è un film brutto, chiariamoci, né tanto meno si può definirlo respingente. L’estetica è buona così come la tecnica registica (l’alternanza di toni e i cambi di ritmo, ad esempio, fanno sì che la storia risulti equilibrata anche quando tende al grottesco), e alcuni passaggi della sceneggiatura sono interessanti.

Ma nonostante affronti tematiche delicate e intime, “Love Life” si dimostra un film insipido, senz’anima, che invece di suscitare nel pubblico gli auspicabili coinvolgimento e curiosità genera distacco e freddezza.

Ci si sforza di seguire le vicende e di interpretare le emozioni di Taeko e del marito Jiro, anche quando queste non sono manifeste, ma il dilatamento (eccessivo) dei tempi porta a incontrare un’oggettiva difficoltà.

Davanti alla tragedia che li colpisce, i due coniugi reagiscono in modo diverso, e vedono nell’altro un ostacolo piuttosto che un aiuto. Il silenzio e l’incapacità di ascoltarsi e capirsi diventano i conviviali di pietra in un matrimonio che rischia una fine prematura.

Lei spera di trovare pace e sostegno nel padre naturale del figlio, che torna dopo non aver dato notizie per anni. Lui, che ha lasciato per lei la fidanzata storica, deludendo anche le aspettative dei genitori, si domanda se alla fine abbia fatto bene a seguire il cuore e non la testa.

“Qualunque sia la distanza tra di noi, niente può impedirmi di amarti” recita “Love Life”, la canzone di Akiko Yano che presta il titolo al film. E alla fine è proprio di distanze, reali e metaforiche, che cerca di parlare, con alterne fortune, Kôji Fukada.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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