“Monica”: il ravvicinamento lento e dolente tra una madre e una figlia

Il film di Andrea Pallaoro parla con delicatezza di transizione, malattia e riavvicinamenti

Un film di Andrea Pallaoro. Con Trace Lysette, Patricia Clarkson, Emily Browning, Joshua Close, Adriana Barraza. Drammatico, 110′. USA, Italia 2022

Monica torna a casa per la prima volta dopo una lunga assenza. Ritrovando sua madre e il resto della sua famiglia, da cui si era allontanata da adolescente, intraprende un percorso nel suo dolore e nelle sue paure, nei suoi bisogni e nei suoi desideri fino a scoprire dentro di sé la forza per guarire le ferite del proprio passato. 

 

La mamma è sempre la mamma. Di mamma ce n’è una sola. E ancora: Ogni scarrafone è bell’ ‘a mamma soja. La saggezza popolare ci ricorda come nella vita ci siano poche certezze: una di queste è – o dovrebbe essere – l’amore materno.

Per quanto possiamo litigare, non comprenderci, allontanarci magari per un lungo periodo, alla fine “il richiamo della foresta” è più forte di qualsiasi dissidio o paura.

Da bambini ci illudiamo che i nostri genitori siano eterni, indistruttibili, li vediamo come degli eroi, ma poi, crescendo, ne scopriamo limiti e difetti, arrivando talvolta a detestarli per la loro incapacità di capire le nostre esigenze e di vedere il nostro vero Io.

“Monica” di Andrea Pallaoro, presentato in concorso a Venezia, è il racconto di un improvviso quanto doloroso ritorno a casa, compiuto fisicamente ed emotivamente dalla protagonista.

Il film ci presenta una figura femminile decisa, sensuale, curata, elegante, alle prese però con una seria crisi di coppia. Di Monica (Lysette) non sappiamo altro, quando riceve una telefonata d’aiuto da parte di una donna. Quella donna è Laura, cognata mai conosciuta prima, che le chiede di tornare a casa perché il cancro sta uccidendo sua madre.

Monica, che da oltre vent’anni non ha rapporti con la famiglia, accoglie riluttante l’invito. E poi entra in punta di piedi in casa sua, quasi fosse veramente un’estranea, sentendosi di troppo in un contesto che non riconosce più come proprio. Persino suo fratello, inizialmente, stenta a riconoscerla, ma c’è una ragione.

Vent’anni fa non c’era Monica, ma un ragazza imprigionata in un corpo maschile. Un ragazzo che si è ritrovato ad affrontare da solo la difficile transizione, essendo stato disconosciuto come figlio dalla stessa madre.

Gli sceneggiatori Andrea Pallaoro e Orlando Tirado dimostrano sensibilità e talento nell’affrontare e sviluppare tematiche complesse e controverse – la transizione sessuale, la malattia di un genitore, la pacificazione familiare – in un unico contesto narrativo.

Il rischio che una storia così potente e simbolica potesse scivolare in una spirale drammatica e da toni eccessivi o melodrammatici c’era. Invece Pallaoro stupisce positivamente, optando per uno stile di racconto essenziale, misurato, pacato e segnato da un ritmo lento che ben si sposa con l’idea di far scoprire allo spettatore gradualmente il “segreto” di Monica.

Un film che si prende tutto il tempo necessario nel mostrare i rapporti attuali e pregressi tra i personaggi e quali effetti e cambiamenti si innescano con il ritorno di Monica.

Trace Lysette è Monica, e in questo caso dobbiamo dire che la pellicola è retta dalla potente, toccante e delicata interpretazione dell’attrice americana. La Lysette regge sulle sue spalle il peso del film, con una performance di sottrazione, usando il proprio corpo con pudore, pathos e dignità.

Il lento quanto toccante riavvicinamento tra madre e figlia conquista e commuove lo spettatore, anche grazie all’affiatamento e naturalezza mostrata dalla coppia Lysette/Clarkson.

Ci si può allontanare dalla propria famiglia, sentendosi incompresi, non accettati e persino rinnegati. Ma la storia di Monica ci regala la commovente e poetica speranza che, pur con tutti i limiti del mondo, nella famiglia si possa alla fine trovare anche quella serenità lungamente inseguita.

 

Il biglietto da acquistare per “Monica” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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