“Naufragi”: a tu per tu con Stefano Chiantini e Micaela Ramazzotti

Il regista e l'attrice parlano del personaggio di Maria, e del suo viaggio tra dolore e perdita

Esce oggi su Sky, dopo essere arrivato sulle piattaforme di streaming qualche giorno fa, “Naufragi”, il nuovo film di Stefano Chiantini (qui la nostra recensione).

Un dramma contemporaneo di grande attualità, che parla di genitorialità problematica e delle difficoltà di accettare le responsabilità e superare un lutto. 

Abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con il regista Stefano Chiantini e la protagonista Micaela Ramazzotti.

 

Vedendo il film si ha come l’impressione che il personaggio di Maria sia scritto e pensato per Micaela Ramazzotti. È davvero così?

Stefano Chiantini: Sì, il film è nato sulla figura di Micaela. Ovviamente non avevo la certezza che avrebbe accettato il ruolo, ci speravo. Poi, una volta che l’ho conosciuta e ha accettato di far parte del progetto, ho affinato la scrittura.

Cosa ti ha colpito maggiormente del personaggio?

Micaela Ramazzotti: Mi ha colpito il fatto che Maria è nata “storta”. Si sente un’inetta, un’incapace. È una bambina insieme ai suoi bimbi. Quando arrivano le vere difficoltà mette la testa sotto la sabbia. Sono affascinata dalle persone fragili, deboli, mi piace illuminarle.

Dov’è stato girato il film e che importanza hanno avuto le location per la storia?

S.C.: “Naufragi” è stato girato nel Lazio, a Civitavecchia in modo particolare. Non ho voluto però citarla. Ho preferito che l’ambientazione fosse indefinita, per far sì che la storia risultasse ancora più di portata universale.

Ti sei ispirato a qualche fatto di cronaca in particolare, per la sceneggiatura del film? Personalmente ci tengo a dirti che l’ho trovato davvero toccante.

S.C.: Sono felice che il film ti abbia toccato. Cosa mi ha ispirato? Mentre scrivo una sceneggiatura osservo il mondo intorno a me, lo metabolizzo. Non ho avuto un spunto preciso, ma è stato una somma di cose. Volevo raccontare quest’esperienza di dolore e resilienza.

Maria nel film appare molto sola, senza amici o parenti che possano aiutarla nel suo difficile viaggio. Una cosa voluta?

S.C.: Mi sono interrogato lungamente sul passato di Maria, se fosse necessario dare più informazioni. Poi ho deciso che quello che vediamo fosse sufficiente. La famiglia di Maria è quella che vediamo. In qualche modo mi sono ispirato ai fratelli Dardenne, maestri nel raccontare il minimo indispensabile dei loro personaggi.

Al cinema c’è ancora una sorta di reticenza nel raccontare la perdita e le sue conseguenze su chi resta. Come ti sei avvicinata al dolore di Maria? Ci sono dei film su questo tema che ti hanno colpita di recente?

M.R.: “Naufragi” è anche un film che racconta l’elaborazione del lutto, sì. Per ciò che riguarda il personaggio mi sono fatta guidare da Stefano. Per i film, amo Lars von Trier – ho rivisto tante volte il suo “Le onde del destino” del 1996 – e John Nicholas Cassavetes.

E cosa ci dici del tema della maternità, a te particolarmente caro, applicato a Maria? Che madre è?

M.R.: La protagonista è una bambina, scappa da ogni responsabilità. Vive la maternità come fosse una sorella maggiore. Maria è forte nella prima parte, per poi cadere nell’oscurità nella seconda. È stato un regalo da parte di Stefano avermi dato questo ruolo. Maria cade in ginocchio ma poi si rialza. La potrei definire come una figlia di circensi. Non sono d’accordo nel definirla una donna fragile, ma piuttosto bizzarra, stravagante

Micaela Ramazzotti paga le bollette oppure delega, come il suo personaggio?

M.C.: Faccio un bonifico automatico e passa la paura. [sorride]

Grazie di tutto e due, e in bocca al lupo.

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