“Nove gradi di libertà”: recensione del romanzo di David Mitchell

Torna in libreria per Mondadori l'opera d'esordio dello scrittore inglese, datata 1999

Leggendo Nove gradi di libertà, romanzo d’esordio di David Mitchell del 1999, ripubblicato da Mondadori in una nuova edizione, appare lampante perché l’adattamento cinematografico di un altro libro dell’autore, “Cloud Atlas”, sia stato un mezzo fallimento.

Sfido chiunque a portare sul grande schermo romanzi di questo genere; romanzi che non hanno una trama non dico lineare ma quanto meno unica, ma sono piuttosto una giustapposizione di storie, di personaggi, di quadri. Che non hanno niente in comune, almeno apparentemente.

Nei capitoli che compongono “Nove gradi di libertà“, ambientato ognuno in uno scenario diverso (si tratti di una città, di uno Stato, oppure di un luogo), incontriamo nell’ordine: il fanatico adepto di una setta apocalittica sull’isola di Okinawa. Un giovane musicista innamorato tra i tentacoli di Tokyo. Un avvocato inglese a Hong Kong. Un donna che vive alle falde del Monte Emei, la montagna sacra cinese. Uno spirito della Mongolia. Una ladra d’arte a San Pietroburgo. Un ghost-writer londinese. Una scienziata irlandese inseguita dalla CIA. Un eccentrico dj newyorkese.

Come ho detto, in apparenza sembra che niente li leghi. Mano a mano che proseguiamo con la lettura, però, ci si rende conto che ci sono dei rimandi, degli echi tra i vari capitoli, tra le varie storie.

Così capita che scopriamo in un capitolo com’è finita la storia del protagonista di uno di quelli precedenti, che qualche personaggio si incontri, che qualcuno ritorni (la nipote della donna della montagna è la cameriera/amante dell’avocato di Hong Kong; un losco figuro dalla Mongolia ricompare a San Pietroburgo, a casa della protagonista; a Londra lo scrittore va a letto con l’ex moglie dell’avvocato. E ancora, e ancora).

“Nove gradi di libertà” ha maggiore coerenza interna di quello che potrebbe sembrare a prima vista, un’architettura complessiva frutto di un lavoro certosino, ma da qui a dire che renderlo un film sarebbe un’impresa fattibile ce ne passa…

D’altra parte, come sfrondare un romanzo dove si parla di fisica quantistica, musica, reincarnazione, opere d’arte, truffe, finanza, religione, etica. Cosa tagliare, eventualmente? Io lascerei stare, ecco. Alcuni libri sono fatti per restare “solo” questo, libri, con buona pace di chi oggi vede in ogni romanzo una possibile sceneggiatura. 

Il libro di Mitchell potrà non piacere ai fanatici della linearità e dei romanzi “classici”, a chi cerca un senso chiaro in tutto ciò che legge. A me è piaciuto perché è ben scritto, imprevedibile, non convenzionale.

Alcuni capitoli sono avvincenti come thriller, altri hanno un sapore più metafisico o se preferite filosofico. In tutti i casi vorresti che ci fosse una continuazione, per sapere com’è andata “a finire” la storia. Invece l’autore stacca quando decide lui, e di alcuni personaggi non si sa davvero più niente.

“Nove gradi di libertà” è un libro che tocca corde profonde del nostro animo, e che provoca molte emozioni diverse. Il racconto si chiude su note abbastanza angoscianti e apocalittiche. Quale futuro attende il genere umano? È ancora possibile salvarci, oppure siamo inevitabilmente avviati verso l’estinzione – poco importa se attraverso una nuova guerra mondiale, la mano di un folle o l’impatto fatale con un corpo celeste? Molto probabilmente lo scopriremo nei prossimi decenni. 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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