“Omicidio a Mizumoto Park”: recensione del noir di Tetsuya Honda

Il romanzo edito da Piemme, primo di una serie di indagini ambientate a Tokyo, è confuso

Se dovessi scegliere una parola per descrivere Omicidio a Mizumoto Park, prima indagine della detective Himekawa della polizia di Tokyo firmata da Tetsuya Honda, edito da Piemme, sarebbe irrisolto. Perché leggendo si ha come la sensazione che l’autore abbia messo tanta carne al fuoco, mescolato spunti differenti, ma senza poi riuscire a scegliere in quale direzione muoversi e creando soprattutto un pasticcio… 

Quando nei pressi del laghetto artificiale di Mizumoto Park, in un tranquillo sobborgo di Tokyo, viene ritrovato un cadavere, Reiko Himekawa, la più giovane detective della sezione Omicidi cittadina, è ben felice di ricevere la telefonata che la convoca immediatamente sul posto. L’alternativa sarebbe stata passare un’altra serata con i genitori, a sentirsi dire che a ventinove anni è ora di smetterla di giocare a guardie e ladri e cercarsi un marito.

Arrivata a Mizumoto Park, che già pullula di suoi colleghi, Reiko si trova davanti una strana scena del crimine: un corpo avvolto in un sacco di plastica blu è stato lasciato sul ciglio della strada, tra i cespugli, in piena vista, quasi come se l’assassino volesse a tutti i costi che qualcuno lo trovasse…

Più tardi, si scoprirà che anche le molte ferite inferte alla vittima presentano delle stranissime caratteristiche; e quando, proprio nel laghetto del parco, un secondo corpo viene ritrovato nello stesso tipo di sacco, per Reiko è chiaro che la caccia al più enigmatico serial killer di Tokyo è appena cominciata…

Come ho scritto in apertura, Omicidio a Mizumoto Park” è un romanzo confuso. Si apre come un noir duro e crudo, con il racconto dettagliato e splatter – fin troppo, per i miei gusti! – di una situazione violenta. Su questo registro continua anche a puntare, in certi passaggi, senza però avere il coraggio di farlo fino in fondo. Per quanto non ami il genere, se lo avesse fatto almeno sarebbe risultato coerente.

Invece no. A questi passaggi descrittivi e crudi se ne giustappongono altri, la maggioranza, grotteschi. La caratterizzazione dei poliziotti di sesso maschile, è, senza mezzi termini e spero in modo voluto, caricaturale. Con i loro ormoni impazziti, la battuta (volgare?) sempre pronta e la mentalità basilare, ricordano Lupin e Zenigata al loro peggio, tutti quei figurini dei manga e dei cartoni animati nipponici sempre con la bava alla bocca alla vista di una bella donna.

Non va meglio con la protagonista, quella Reiko Himekawa che nella sinossi viene presentata come una poliziotta risoluta, intuitiva, fortissima, quando invece nella realtà ha molte debolezze, nella gestione della sua squadra, nell’interazione con i colleghi e i superiori, nella vita in generale. Non che in questo ci sia qualcosa di male, ma il personaggio non risulta coerente, vive di alti e bassi, e finisce per farsi schiacciare da qualche “maschio alfa” in divisa, sul finire.

Non parliamo di parte dei dialoghi, di una banalità ma soprattutto insensatezza unica. Diciamo che se la storia fosse ambientata negli anni ’50/’60 – quando era naturale considerare la donna inferiore o definire una persona che viene dalla campagna “campagnolo” o “contadino”, in senso dispregiativo, contrapponendolo a chi da sempre vive in città – potrebbero forse starci, ma nel XXI secolo? 

In questo susseguirsi di scene surreali, sprazzi di noir di inaudita violenza, crisi esistenziali della protagonista anche l’ambientazione, che per me costituiva uno dei punti di maggiore interesse, finisce per venire svilita. Honda racconta sicuramente una Tokyo diversa da quella a cui noi occidentali siamo abituati dai libri e dai film. Ci sono meno bellezza e poesia, e più volgarità e degrado qui. Però manca ogni forma di approfondimento e potremmo essere nei bassifondi di qualsiasi città. 

Il caso viene chiuso, i criminali assicurati alla giustizia. Quello che rimane dopo la lettura di “Omicidio a Mizumoto Park”, però, è soprattutto la sensazione di una storia poco convincente. L’autore ha messo insieme spunti e generi diversi, cercando di impressionare il lettore probabilmente. Il risultato è solo molto confuso. Speriamo che, se ci sarà un seguito di queste indagini, riesca a scegliere una strada e a limare alcuni, marchiani, difetti. 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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