“Polaroid”: una macchina fotografica posseduta per un horror classico

Lars Klevberg dirige una pellicola che ripropone senza grandi novità tutti gli stilemi del genere

Un film di Lars Klevberg. Con Madelaine Petsch, Kathryn Prescott, Javier Botet, Katie Stevens,  Grace Zabriskie. Horror, 88′. USA, Norvegia 2019

Due amiche trovano una vecchia macchina fotografica pieghevole in ottime condizioni. Una fotografia condanna una delle due a una fine orrenda, preannunciata da scricchiolii sinistri, visioni di donne impiccate e pericolose ombre sfuggenti. Tempo dopo, Bird Fitcher, adolescente insicura e solitaria, entra in possesso della stessa Polaroid SX-70. La macchina fotografica, posseduta da una creatura spietata e vendicativa, condanna chiunque venga immortalato nella sua istantanea a un destino orribile e inevitabile. Per salvare gli sfortunati amici e porre fine alla maledizione, Bird dovrà prima risolvere l’oscuro mistero connesso alla temibile Polaroid.

 

Quali caratteristiche associamo, per definizione, al genere horror? Ambientazioni buie, scricchiolii sinistri, un mostro spaventoso o un’entità maligna che trama nell’ombra, pronta ad attaccare l’innocente di turno. Ecco, in “Polaroid” di Lars Klevberg non manca proprio niente.

Anche se la sceneggiatura del film – che riprende l’omonimo cortometraggio del regista norvegese sulla macchina fotografica posseduta – è piuttosto semplice e fa grande ricorso a elementi standard del genere, lo sviluppo è avvincente, prevedibile solo a tratti.

L’utilizzo di suoni in sottofondo garantiscono l’effetto suspense e condisce i colpi di scena che non mancano, anzi ad un certo punto sembrano essere anche troppi, almeno per la contenuta durata della pellicola.

La cura per il dettaglio, l’utilizzo di alcune inquadrature e le bellissime ambientazioni, esaltate da sequenze panoramiche non persistenti ma piacevoli, consentono a questo film di aggiudicarsi un tono di piacevolezza che altrimenti non avrebbe. Peccato per il finale che palesa, come quasi sempre accade negli horror degli ultimi tempi, un’eccessiva fretta narrativa che spreca alcuni ottimi input argomentativi.

 

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Concetta Piro
Nata a Napoli, a otto anni si trasferisce in provincia di Gorizia dove si diletta di teatro. Torna nella sua amata città agli inizi del nuovo millennio e qui si diploma in informatica e comincia a scrivere - pensieri, racconti, per poi arrivare al primo romanzo, "Anime". Nel frattempo ha cambiato di nuovo città e scenario, trasferendosi nelle Marche. Oggi conduce per RadioSelfie.it "Lo chiamavano cinema", un approfondimento settimanale sulla settima arte, e scrive articoli sullo stesso tema.

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