Sarri, Mancini e le male parole

Inauguro questo spazio di riflessione (che per essere molto originale ho deciso di chiamare, semplicemente, l’Editoriale, inserendomi nella migliore tradizione giornalistica) parlando di calcio. Quale argomento migliore, per un’appassionata come me, per esordire?

Oggi, 20 gennaio, i giornali sportivi – e anche quelli generalisti – hanno aperto con la notizia del post-partita turbolento del match di Coppa Italia Napoli-Inter giocato ieri al San Paolo. In breve, il tecnico nerazzurro Roberto Mancini si rivolge al quarto uomo chiedendo ragione del corposo recupero. A quel punto Maurizio Sarri, allenatore del Napoli, lo prende a male parole, chiamandolo frocio e finocchio. Tutto questo lo sappiamo nel dettaglio, perché Mancini ha riportato per filo e per segno quanto avvenuto ai microfono Rai nell’intervista del dopo gara. E Sarri ha a suo modo confermato, in conferenza stampa, aggiungendo di essersi già scusato con l’altro, di essersi lasciato trasportare, che per lui certe cose dovrebbero restare sul campo.

Personalmente non provo grande simpatia né per l’uno né per l’altro, quindi il mio parere non rischierà di essere deviato dalle emozioni personali.

Sui campi di calcio italiani capita spesso di sentir volare parole grosse – così come capita che gli allenatori sbraitino o prendano a calci questo e quello, e che i tifosi passino il segno. Questi sono fatti – succede, è vero – ma non possono essere giustificazioni. Se il regolamento dice che certi comportamenti vanno sanzionati (per Sarri c’è chi ha parlato di quattro mesi di squalifica), certi comportamenti vanno sanzionati.

In tutti i casi però. Non si possono offendere gli avversari? Chi lo fa deve essere squalificato, tutte le volte, non a discrezione. Non si possono avere comportamenti sopra le righe in panchina? Chi lo fa deve essere squalificato. Questo discorso non va a favore di Sarri – o del milanista Mihajlović, reo di aver preso a calci una bottiglia qualche domenica fa davanti a una clamorosa occasione fallita dai suoi e per questo espulso -, mi sembra più che altro questione di coerenza. In Italia siamo maestri nel fare regole che poi tutti finiscono puntualmente per aggirare. Se vogliamo che le cose cambino, il primo passo non è tanto fare le regole, quanto applicarle sempre. Il gioco del calcio ha un regolamento: da oggi facciamo presente a tutti (giocatori, allenatori, tifosi) che quello che c’è scritto è legge. Chi sgarra paga, e non se ne parli più. Potremo poi discutere della bontà o meno delle regole, ma nessuno si sentirà più in diritto di dire: sono cose che succedono.

Spiegato perché, per come la vedo io, “sono cose che in campo succedono” non è una giustificazione accettabile (così come non lo sarebbe davanti a qualsiasi tipo di infrazione dire “lo fanno tutti”), in questa storia ci sono altri due elementi da considerare. Il primo è l’insulto messo sotto accusa. Finocchio e frocio sono parole peggiori di vecchio del c…o – o se è per questo di coglione, merda, cornuto? Sì e no. A livello teorico un’offesa dovrebbe vale l’altra; ogni termine, però, va inserito nel contesto sociale e sociologico in cui viene pronunciato. Se Sarri si fosse limitato a un ‘cornuto’ come tanti i giornali oggi avrebbero quasi sicuramente strillato di meno, molte meno persone si sarebbero sentite chiamate in causa, molte meno avrebbero detto la loro. Finocchio – nel 2016, in Italia – non è una parola come le altre, anche se Sarri dice di averla detta così, come un’offesa qualunque.

Il secondo elemento, probabilmente lo avrete capito, è il comportamento di Roberto Mancini. Nella settimana in cui Giampiero Gasperini ha denunciato in conferenza stampa, facendo tanto di nomi, i comportamenti persecutori messi in atto contro di lui da alcuni pseudo-tifosi genoani, il fatto che un altro allenatore si presenti davanti ai giornalisti raccontando per filo e per segno una vicenda “di campo” colpisce. Perché su questo Sarri non ha torto: nel calcio ben di rado ci si presenta davanti alle telecamere parlando di episodi così. Per sapere cosa di preciso Marco Materazzi avesse detto al francese Zidane al Mondiale prima della storica testata ci sono voluti dei mesi. Se è vero che le parolacce volano, è anche vero che quasi mai si riportano fuori dal campo. Perché allora Mancini – un personaggio tutto sommato tranquillo, british, per i suoi atteggiamenti, che raramente oltrepassa il segno quando si tratta di interviste e rapporti coi media – ha raccontato tutto? Qualcuno ha immaginato che la tensione della partita possa averlo reso meno lucido, qualcun altro ha ipotizzato che le offese in questione possano averlo toccato sul piano umano o personale. Mancini sarebbe scattato lo stesso se il collega gli avesse detto un “bonario” cornuto? Vai a saperlo.

Dice il proverbio che le parole se le porta via il vento. In questo caso ci vorrà più tempo perché le parole – e gli strascichi e le polemiche – si cancellino. Il giudice sportivo si pronuncerà sul comportamento di Sarri, online in molti si sono già espressi. Intanto l’Inter la partita l’ha vinta 2-0 ed è approdata alle semifinali di Coppa Italia. Per una volta è questa la notizia che, stranamente, non è interessata quasi a nessuno.





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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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