“Ride”: l’opera prima di Mastandrea è un film poetico quanto stralunato

Grande prova di tutto il cast ma eccessiva e ripetuta bipolarità per una pellicola attuale e dolorosa

Un film di Valerio Mastandrea. Con Chiara Martegiani, Arturo Marchetti, Renato Carpentieri, Stefano Dionisi, Milena Vukotic. Drammatico, 95′. Italia 2018

Una domenica di maggio, a casa di Carolina si contano le ore. Il lunedì successivo bisognerà aderire pubblicamente alla commozione collettiva che ha travolto una piccola comunità sul mare, a pochi chilometri dalla capitale. Se n’è andato Mauro Secondari, un giovane operaio caduto nella fabbrica in cui, da quelle parti, hanno transitato almeno tre generazioni. E da quando è successo Carolina, la sua compagna, è rimasta sola, con un figlio di dieci anni, e con una fatica immensa a sprofondare nella disperazione per la perdita dell’amore della sua vita. Perché non riesce a piangere? Perché non impazzisce dal dolore?

 

Esiste un “galateo” codificato sul comportamento corretto da tenere alla vigilia del funerale di una persona cara? Solamente le lacrime – che siano di una vedova, di un orfano, di un amico – rendono esplicito il travaglio interiore?

Valerio Mastandrea con “Ride”, suo esordio dietro la macchina da presa, evita coraggiosamente di realizzare la classica, e scontata, commedia, puntando invece sul film scomodo e decisamente particolare per il panorama italiano.

Al centro della storia due tematiche diverse, mescolate insieme: la libertà di essere se stessi anche nei momenti difficili, quando il mondo tende a giudicarti, e l’aumento degli incidenti mortali sul posto di lavoro. Ma “Ride”, fin dal titolo, prepara il pubblico a un film ricco di spunti politici, sociali, spirituali, a cui non mancano aspetti teneri e bizzarri.

Lo spettatore osserva le reazioni e i comportamenti di tre personaggi nelle ore precedenti alle esequie pubbliche dell’operaio Sandro: quelli della compagna Carolina (Martegiani), del figlio Arturo di 10 anni e dell’anziano padre Cesare (Carpentieri).

La prima appare serena, calma, quasi rilassata, nonostante riceva in rapida successione le visite dell’isterica e nostalgica ex fidanzata di Sandro, di una coppia d’amici che con la scusa di darle sostegno le comunicano piangenti la loro di separazione e dell’eccentirca vicina di casa.

Arturo, dal canto suo, è impegnato nelle prove per le interviste che è certo di star per concedere alle varie emittenti televisive nazionali in quanto figlio della vittima. Solo così potrà farsi bello agli occhi dei coetanei – e soprattutto della ragazza che gli piace.

Cesare, per finire, passa le ore con gli amici nonchè ex colleghi operai, constatando amaramente quanto poco o nulla sia rimasto dei diritti acquisti dopo le loro battaglie sindacali.

“Ride” è un film poetico quanto stralunato, amaro quanto dolce, pieno di amore quanto di rabbia, razionale quanto sopra le righe. Probabilmente questa insistita “bipolarità” narrativa ed emotiva finisce per pernalizzarlo, facendogli perdere la sua identità di base.

Una scena del film “Ride”.

La pellicola si regge sulle convincenti e intese performance del cast, tutte degne di nota. Chiara Martegiani è una Carolina credibile, goffa e commovente. Renato Carpentieri una sicurezza artistica e recitativa. L’esordiente Arturo Marchetti si muove sul set con la naturalezza di un veterano.

Se “Ride” arranca nella seconda parte, fino al finale allungato, retorico e melenso – un vero peccato! -, resta comunque prezioso e condivisibile il suo messaggio ultimo: nessuno può stabilire i tempi e i modi della lacrima e del dolore. Spetta solo a noi decidere in che modo soffrire, e cosa mostrare al mondo.

 

Il biglietto da acquistare per “Ride” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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