Riso e Terrorismo

di Davide Martini

 

Non è semplice trovare le parole per descrivere un avvenimento drammatico come quello verificatori a Parigi nel corso della settimana. Per farlo, abbiamo deciso di proporvi un articolo dello storico statunitense Robert Darnton comparso sul The New York Review of Books, dal titolo emblematico “Laughter and Terror” (Riso e Terrorismo), che unisce alla riflessione estemporanea alcuni spunti storici. 

Una delle tante immagini pubblicate in omaggio ai vignettisti e ai giornalisti assassinati mercoledì 7 gennaio nella sede del periodico satirico “Charlie Hebdo” mostra una lapide con sopra la scritta “Morti dal ridere”. Ma a Parigi in questi giorni nessuno ha voglia di ridere. In realtà, il massacro ha sollevato importanti interrogativi sul ruolo della risata nella nostra società.

I varietà francesi hanno proposto nel corso del tempo diverse tipologie di riso: da quella grassa di Rebelais al sogghigno di Voltaire. Il Charlie Hebdo si è specializzato in battute pesanti, cariche di allusioni sessuali e di un certo cattivo gusto, sbattute in faccia al lettore senza mezzi termini. Ma non è stato il primo a farlo. Fondato nel 1970, ha dato voce alla scherno sinistroide del cosiddetto ’68. Il Charlie si è fatto beffe di Charles de Gaulle e qualcuno ha visto nel nome del giornale uno sbeffeggio alla satira shultziana dei Peanuts. Alcuni dei suoi vignettisti più famosi (Georges Wolinski, Jean Cabut, Philippe Honoré) erano figli del ’68 e, nonostante siano passati ormai settant’anni da quella stagione, non hanno mai smesso di puntare il dito contro personaggi grandi e potenti, finché non sono stati assassinati durante la riunione di redazione settimanale.

In qualità di studioso della storia satirica francese, mi viene da pensare agli scrittori del passato che hanno diretto il loro umorismo contro il potere e il fanatismo: tra questi ricordo Relais, Bussy-Rabutin, Beamarchais, Chamfort, ma soprattutto ricordo Voltaire. La satira oltraggiosa si è sviluppata a partire dagli anni ’40 del 1600, quando Paul Scarron dileggiò il primo ministro di Luigi XIV (il Cardinale Mazzarino). “Dobbiamo attirare le risa dalla nostra parte” scrisse invece Voltaire che, di volta in volta, cercava di mobilitare i suoi compagni filosofi nella compagna contro le persecuzioni della Chiesa.

Non c’è nulla di volterriano nell’umorismo del Charlie Hebdo, ma la sua satira contro l’ortodossia religiosa, sia cristiana che musulmana, esprime lo stesso spirito anticlericale che ci riporta indietro nel tempo. Non appena le notizie sul massacro hanno perso il loro clamore iniziale, ho iniziato a pensare a Voltaire e al suo famoso risolino beffardo, le labbra strette e la mandibola leggermente spostata all’infuori, quasi a sfidare chi gli avrebbe voluto tirare un pugno.

Purtroppo non sempre esiste una difesa adeguata. Durante i suoi ultimi anni, anche Voltaire fu sopraffatto dall’orrore e dalle atrocità compiute dai tribunali francesi, in particolar modo per il caso di Jean Calas, un protestante che venne torturato e giustiziato dopo essere stato, a torto, accusato dell’omicidio del figlio convertitosi al cattolicesimo. Voltaire fece del caso Calas il centro della sua campagna contro la cosiddetta infâme, un parola che racchiude concetti come l’intolleranza, l’ignoranza, l’ingiustizia e soprattutto le persecuzioni messe in atto dalla Chiesa e dallo Stato. Al culmine della sua rabbia Voltaire scrisse una lettera a d’Alambert, il suo alleato filosofico a Parigi, dicendo: “Questo non è il momento di scherzare”.

Una risata contro il terrorismo: un scontro impari. Il giorno dopo il massacro ho chiesto a un edicolante parigino quando avesse venduto l’ultima copia del Charlie Hebdo. Mi ha risposto: “A un’ora dall’attacco terroristico”. Per la verità, non ne ha mai tenute molte copie perché a suo dire: “Viene letto solo da un pubblico molto particolare”. Allora ho chiesto di nuovo: “Crede che sopravvivrà?” Mi ha risposto: “Certo, altrimenti i terroristi l’avrebbero avuto vinta”. In effetti, i membri della redazione sopravvissuti stanno già preparando il numero di mercoledì, in una stanza presa in prestito dal quotidiano Libération. Stamperanno un milione di copie.

Ho ricevuto la notizia dell’assalto a distanza di pochi minuti dall’evento, mentre ero seduto nell’ufficio di un amico, editor di Gallimard. Lui conosceva diverse persone che hanno contribuito alla redazione del periodico e così anche tutti i suoi amici. Il mondo della carta stampata a Parigi è molto ristretto: tutti si conoscono, tutti conoscono qualcuno che in passato è stato amico delle vittime dell’attentato, per questo tutti sono sotto shock, perché è un po’ come se quest’atrocità avesse toccato tutti in prima persona. Ma l’attacco è anche stato portato contro un’istituzione, contro la libertà di stampa e di libera circolazione delle idee, non solo contro il diritto di fare satira. Un commentatore ha descritto l’evento come un “attacco diretto contro l’esprit français”.

Parigi questa settimana è stata privata del riso. La prossima le edicole traboccheranno di copie del nuovo, resuscitato Charlie Hebdo. È difficile però immaginare quando la commedia umana tornerà di nuovo divertente da osservare.





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