“Sex education”: quando la clinica “del sesso” è per adolescenti

La serie Netflix ripropone tipi e situazioni già viste ma usando un linguaggio che va dritto al punto

Una serie ideata da Laurie Nunn. Con Asa Butterfield, Gillian Anderson, Ncuti Gatwa,  Emma Mackey, Connor Swindells. Commedia drammatica. Regno Unito. 2019-in produzione. 8 episodi

 

Quale dovrebbe essere il giusto approccio per parlare agli adolescenti di un argomento complesso come l’educazione sessuale? Usare una comunicazione semplice e concisa. Ed è proprio quello che fa la serie Netflix “Sex education”: affronta una serie di taboo che riguardano la nostra sessualità e di conseguenza le nostre relazioni adottando una scrittura immediata, per quanto piena di cliché.

La mancanza di approfondimento su alcune tematiche non svilisce il messaggio di fondo ma costruisce semmai un discorso consolatorio lungo tutte le puntate. Nessun episodio lascerà lo spettatore con un senso di disagio, non perché non ci siano momenti che suscitano collera o tristezza ma perché il mondo rappresentato in “Sex Education” è nettamente migliore del nostro, e quindi alla fine tutto si risolve per il meglio.

Strutturata in otto puntate, la serie Netflix ideata Laurie Nunn procede cercando un equilibrio tra il racconto di formazione giovanile e il filtro di scrittura e messa in scena che addolcisce il tutto. In questa realtà, dove l’integrazione delle minoranze non è un problema così urgente come nella nostra vita di tutti i giorni, un gruppo di ragazzi molto diversi tra loro creerà una clinica scolastica arrangiata per aiutare, attraverso una terapia sessuale, i compagni che hanno qualche dubbio sulla propria sessualità.

Se in “Baby” il discorso pretenzioso sui vari tipi di sessualità crollava per colpa di una sceneggiatura debole, “Sex Education” trova nei suoi personaggi sessualità molto interessanti e sincere, senza dover creare una complessità superflua e forzata.

Molto spesso ci si dimentica che la serie è ambientata nell’Inghilterra di oggi, merito dei costumi e di scelte musicali retrò, che guardano soprattutto agli anni ‘80, e che fanno pensare a un revival. Questa scelta stilistica crea alcune situazioni molto strane – ad esempio il fatto che i giovani utilizzino riviste hard invece di siti web per adulti.

Costruendo le sue storie su archetipi molto precisi – lo sfigato, il ragazzo sportivo e popolare, la ragazza facile – “Sex education” rischia di stancare proprio per le tante situazioni già viste. Questo non significa che i personaggi siano macchiette prive di spessore e umanità (anzi!) ma solo che rispondono a dei canoni abusati in lungo e in largo.

Non sappiamo ancora se ci sarà una seconda stagione. Certo la carica emotiva di alcuni personaggi sembra aver trovato una conclusione. Inoltre il soggetto accattivante della serie – fare soldi a scuola attraverso una terapia sessuale – potrebbe non essere sufficiente per costruire il futuro del racconto. Solo con delle idee che ribaltino la narrazione, “Sex education” potrebbe risultare nuovamente interessante.

 

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