“Siccità”: un film distopico dove di arido non c’è solo il fiume Tevere

Paolo Virzì immagina una nuova emergenza globale, ma il risultato è confuso e poco coerente

Un film di Paolo Virzì. Con Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Elena Lietti, Tommaso Ragno, Claudia Pandolfi. Drammatico, 124′. Italia 2022

Da troppo tempo non piove a Roma e come le piante, uomini e donne si sono inariditi. Antonio, in prigione per aver ucciso la sua compagna, non contempla più la libertà; Loris, chauffeur impiegato un tempo nella pubblica amministrazione, parla coi suoi cari fantasmi; Alfredo, attore in panne, è ossessionato dai social; sua moglie Mila risolleva l’economia familiare lavorando in un supermercato. Sara, dottoressa a tempo pieno, individua un nuovo ‘male’; Luca, avvocato marito di Sara, è in crisi con la moglie e si consola con Mila; Giulia, infermiera alla prima gravidanza, aspetta da sempre il ritorno del padre; Raffaella, consorte tradita, cerca da sempre il consenso del padre… I loro destini si incrociano nella capitale che aspetta la pioggia e guarda avanti. Per migliorarsi o forse per lasciare tutto com’era.

 

La pandemia ci ha resi “assetati” di normalità. Il distanziamento sociale e i lockdown hanno trasformato il contatto fisico e tante attività in un lontano ricordo. E nei momenti più duri non abbiamo potuto fare altro che farci coraggio pensando che ne saremmo usciti migliori…

La curiosità di sapere cosa sarebbe successo “dopo” era forte, una costante nelle nostre giornate fattesi silenziose, solitarie, ristrette. Come sarebbe stata l’Italia “post-Covid”? Come sarebbero state le nostre vite? A ben guardare, adesso che il virus fa meno notizia ed è diventato la normalità, non sembra cambiato molto.

Ma quanto meno, quello che è successo ci ha insegnato qualcosa, magari di spendibile in caso di una nuova crisi globale? Se lo chiede Paolo Virzì nel suo nuovo film “Siccità”, presentato alla Mostra del cinema di Venezia fuori concorso.

La sceneggiatura cerca di rispondere agli interrogativi di questi anni proiettandosi in un futuro prossimo in cui Roma è stata investita da una terribile carenza di acqua. Sulla carta, un progetto ambizioso e originale, pensato come una ripartenza per il cinema italiano. In pratica, un flop clamoroso.

“Siccità” è un pasticcio di scrittura, di genere e di stile, suddiviso in diverse storyline che si toccano solo sul finale. Nonostante i quattro sceneggiatori, manca un progetto di fondo, e uno sviluppo coerente della storia e dei personaggi. E non ci sono nemmeno quegli elementi tipici dei primi film di Virzì, l’ironia e la verve toscana.

Perché mai uno spettatore dovrebbe andare in sala a vedere “Siccità”? Al di là del cast di primo livello e delle suggestive ambientazioni capitoline – il fiume Tevere in secca colpisce – non mi vengono in mente motivi validi. Speriamo solo che Paolo Virzì torni in futuro a fare Paolo Virzì, altrimenti per la ripartenza del cinema la vedo dura.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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