Single ma non troppo, Liz Tuccillo

Essere single, o forse meglio zitelle: una maledizione o una scelta di vita? Possibile che tante donne belle, intelligenti, in carriera, non riescano a trovare un uomo che sappia amarle e proteggerle come meritano, e continuino a collezionare solo rapporti sbagliati? Se lo chiede Julie, brillante scrittrice di Manhattan, dopo una serata disastrosa con le sue quattro migliori amiche, una serata iniziata a ballare scatenate sul bancone di un bar e conclusasi al pronto soccorso. La domanda «Perché non riesco a trovare un uomo?» non se la pongono solo Julie e le sue amiche di New York, ma anche centinaia di donne in ogni parte del mondo, così Julie decide di affrontare il problema da scrittrice. Partirà per un viaggio ai quattro angoli del pianeta, dalla Francia all’Australia, passando per Roma, Rio de Janeiro, Pechino e Nuova Dehli, in un’avventurosa indagine sulla ricerca dell’amore, sul sesso, sulla passione ma anche sull’amicizia, la solidarietà, la complicità femminile. Mentre Julie viaggia e incontra donne diverse con gli stessi problemi, a New York le sue amiche continuano la loro difficile esistenza, fra tradimenti, tragici appuntamenti al buio, ricerca di donatori di sperma e battaglie per l’affidamento dei figli… Esiste una regola dell’amore? O forse il bello dell’amore è proprio non avere regole?

Single ma non troppo, Liz Tuccillo

Ammettiamolo: leggendo titolo e sinossi, e gettando un’occhiata alla copertina, tutti ci saremmo aspettati qualcosa di diverso da quello che poi, in effetti, “Single ma non troppo” è. Sorprendere e spiazzare non necessariamente è un male, quando si tratta di libri… ebbene in questo caso, purtroppo, lo è.

Liz Tuccillo firma un romanzo dalla non chiara identità, che o prova a essere divertente senza riuscirci, oppure vuole essere qualcosa di diverso dai classici chick lit ma finisce soltanto per mettere ansia e angoscia in chi legge – in entrambi i casi, non un buon lavoro.

Partiamo dal principio, dagli elementi che più fanno storcere il naso e scuotere la testa in questa storia che non saprei se definire di iniziazione alla solitudine o di scoperta di se stessi senza però arrivare da nessuna parte.

Primo elemento: i luoghi comuni. Ok che quando si scrive un libro così, dove la protagonista si mette in viaggio per capire come le single di tutto il mondo vivono il fatto di non avere un compagno, qualche generalizzazione ci sta – le italiane fanno così, le francesi così – però a tutto c’è un limite! Qui sembra che l’intera storia si regga su una architettura traballante di luoghi comuni! Non c’è profondità nello sguardo di Julie, nella sua analisi. Forse perché lei non è un’osservatrice spassionata, ma è coinvolta in prima persona; forse perché, dopo aver conosciuto il bello e sposato della storia, Thomas, il suo lavoro passa in secondo piano e lei finisce per pensare principalmente a se stessa – tanto che alla fine ci domandiamo, lo avrà poi scritto questo libro oppure si sarà solo fatta mesi e mesi di vacanze pagate in giro?

Secondo elemento, ancora più sconcertante e triste, per come la vedo io: l’immagine che delle donne alla soglia dei 40 anni viene fuori dalle pagine di questo libro. Le protagoniste, tutte donne teoricamente mature, affermate, solide, hanno reazioni e comportamenti che sarebbero più normali per ragazze di 18 anni (vogliamo parlare della serata di bagordi iniziale?). Di due cose una: o queste “eroine” sono esagerate, quindi l’autrice ha volutamente calcato la mano, creando però personaggi poco credibili, quasi grotteschi, oppure davvero non si cresce mai, per quanto l’età anagrafica aumenti.

A ben vedere – e qui arriva il lato triste della vicenda – che alle soglie dei 40 una donna debba ritrovarsi a vivere determinate situazioni – a lottare per ritagliarsi uno spazio, a cercare tra gli uomini rimasti uno che possa andare bene per lei – ci sembra contro-natura. Se neppure sposarsi e fare figli per tempo è più garanzia che poi le cose seguiranno un andamento naturale, come in passato – prendiamo ad esempio il caso di Georgia, moglie e madre lasciata a quasi 40 anni dal marito per una ragazza più giovane -, il messaggio che la Tuccillo fa passare è che per gli uomini sia molto più facile ricominciare, mentre le donne arrancano. Davvero non sappiamo reagire? Davvero ci compatiamo e tendiamo ad affondare?

Terzo elemento: la quantità di disgrazie che capitano a queste 5 donne. Va bene che deve passare un certo messaggio, va bene che la vita reale non è tutta rose e fiori, ma qui non si sarà un pochino esagerato? Alla fine si ha la sensazione di trovarsi in una farsa, dove al peggio non c’è mai fine e dopo che pensi di aver visto tutto c’è ancora qualcosa in arrivo. E dai.

Tra tante scelte poco felici, ho trovato apprezzabile il fatto che la protagonista Julie non sia perfetta. Quando a Rio de Janeiro la commessa del negozio di costumi da bagno le consiglia di non andare in spiaggia perché ha la cellulite sono rimasta di sasso. Nei libri di rado si dipingono personaggi con difetti – oppure, se anche i difetti ci sono, si preferisce non parlarne apertamente, accennare soltanto alla cosa. Non è questo il caso. Julie non ha un corpo da urlo, è imbarazzata da se stessa, è umana… e questo depone a suo favore.

Purtroppo la fase di immedesimazione/compassione per la protagonista dura pochissimo. Quando Julie si rapporta con Thomas, parteggiare per lei è impossibile. Tante chiacchiere filo-femministe, tante offese alle “altre” che rubano i mariti, dovrebbero vergognarsi e bla bla bla e poi inizi una relazione con uno che sai che è sposato senza battere ciglio? Ma esattamente dove sta la coerenza?

Un altro elemento che mi ha colpita in positivo, lo ammetto, è il finale. A un certo punto ho temuto seriamente che la Tuccillo avrebbe deciso di fare ammenda per tutte le calamità che fa piovere sulle sue donne durante la storia regalando a ciascuna un bell’happy ending – positivo e costruito. Invece l’autrice si trattiene, punta sulla semplicità e su una linea più realistica e almeno questo è apprezzabile.

Tirando le somme, “Single ma non troppo” è un libro strano. A volte si ha la sensazione che sia ripetitivo e persino noioso, poi un cambio di prospettiva scongiura la catastrofe. È un libro al limite: vario per ambientazione, storie e personaggi, però con quella ripetitività nei motivi trattati che non si può non notare.

Non posso dare torto a quello che hanno scritto online alcuni lettori: ma un chick lit che non fa ridere – anzi, che per la maggior parte del tempo mette ansia e tristezza – può ancora definirsi un chick lit? Non ho la fissazione per i generi, e personalmente la copertina accattivante e il fatto che l’autrice avesse alle spalle romanzi irriverenti e divertenti non mi avevano automaticamente fatto pensare che anche “Single ma non troppo” sarebbe stato ugualmente spassoso, però il fatto lascia interdetti.

Non puoi vendere un libro come leggero e poi presentare al pubblico drammi, tragedie e problemi ogni due pagine – o meglio, puoi farlo, ma poi il fatto che il pubblico in questione si senta preso in giro e non apprezzi quello che hai scritto è da mettere in conto.





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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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