The 100, Kass Morgan

Sono secoli che gli uomini vivono nello spazio senza tornare sulla Terra. In seguito a una devastante guerra atomica i sopravvissuti si sono imbarcati su tre navi spaziali e i loro discendenti sono ancora chiusi lì dentro. Tuttavia pare giunto il momento di andare in ricognizione. A essere spediti sulla Terra per capire se sia di nuovo vivibile sono in cento: ragazzi considerati delinquenti dal regime poliziesco che vige sotto la guida del Cancelliere. Alle prese con una natura magnifica e selvaggia e tormentati dai segreti che si annidano nel loro passato, i 100 sulla Terra devono lottare per sopravvivere. Non sono eroi, ma potrebbero essere l’unica speranza rimasta al genere umano.

the 100, Kass Morgan

Tagliamo la testa al toro in apertura di recensione: io la serie televisiva tratta dai romanzi di Kass Morgan, che in tanti dicono essere decisamente meglio dei libri, non l’ho ancora vista, quindi mi è impossibile fare paragoni. Quello che posso fare è parlare del “The 100” cartaceo per come l’ho percepito io, senza pregiudizi o necessità di confrontare a ogni costo.

Iniziamo dalla trama. Di distopie, ultimamente, se ne leggono tante, quindi cadere nel banale o nel già letto è sempre più un’impresa. Kass Morgan si è ritagliata una sua strada particolare unendo ai tratti più usati e abusati del genere distopico (protagonista femminile, potere centrale “cattivo”, mondo post-apocalittico) elementi mutuati dalla fantascienza (navicelle spaziali, umanità trapiantata nello spazio, nuove tecnologie) che finiscono per attenuare molto il senso di già visto, già letto.

Anche se l’architettura generale è interessante, lo sviluppo della storia è tremendamente frettoloso. In quattro e quattr’otto “i 100” sono spediti sulla Terra, cercano di ambientarsi, qualcuno muore, vengono attaccati. Il finale anche arriva troppo presto. Si ha come la sensazione che manchi qualcosa – oppure che il libro andrebbe letto insieme al secondo della trilogia (“The 100. Day 21“) uscito solo di recente nel nostro paese.

L’idea di alternare i punti di vista dei personaggi, che ormai è diventato un po’ una convenzione, funziona comunque perché dà movimento alla storia. Conosciamo quindi l’eroina della storia Clarke, il figlio del cancelliere che per amore si è fatto mandare sulla Terra, Bellamy che per seguire la sorella ha rischiato tutto, Glass.

Quello che proprio non mi ha convinta è il continuo riferimento all’amore. La storia sarebbe stata bella e forte, se non si avesse costantemente la sensazione di trovarsi davanti a un libro scritto e pensato per un pubblico di giovani. Perché calcare la mano sull’elemento young adult? Perché tutti devono essere follemente innamorati, pronti a tutto per la dolce metà? Questo continuo riferimento alla sfera sentimentale finisce per sminuire il resto. Quello che potenzialmente poteva essere un buon romanzo distopico-fantascientifico finisce per banalizzarsi nell’ennesima storia d’amore ai confini del reale, di amore contrastato per cui si è pronti a tutto. Ne avevamo davvero bisogno?





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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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