“The Bad Batch”: un film spuntato, che ribalta in parte il sogno americano

L'immaginario della regista Ana Lilly Amirpour non è originale come potrebbe sembrare, e la pellicola stenta a decollare

Un film di Ana Lily Amirpour. Con Jason Momoa, Keanu Reeves, Jim Carrey, Suki Waterhouse, Diego Luna. Horror, 115’. USA, 2016

 

Ho scoperto e apprezzato la regista Ana Lilly Amirpour qualche mese fa grazie all’horror-noir “A girl walk home alone at night”, ambientato in un piccola cittadina nel deserto vicino Las Vegas. Se quel film presentava dei limiti strutturali e drammaturgici, non si poteva non rimanere comunque colpiti da uno stile registico innovativo, unico nel suo genere.

“The Bad batch”, presentato in concorso alla Biennale di Venezia 2016, ha diviso pubblico e critica: c’è chi l’ha definito semplicemente pessimo, e chi invece ci ha visto un’opera debole dal punto di vista narrativo e dei contenuti, ma molto interessante per regia e fotografia.

Personalmente mi sento di posizionarmi esattamente a metà tra i due schieramenti, valutando il film brutto, ma con qualche leggero pregio.

La protagonista Arlen (Waterhouse) viene espulsa dai confini del Texas e abbandonata in un deserto senza fine, “la parte difettosa”, dove vivono i reietti della società e soprattutto i cannibali. Aggredita e mutilata, la ragazza riesce a scappare e a rifugiarsi in un’oasi abitata da dei disperati almeno un po’ più miti che pendono dalle labbra di un sedicente ed eccentrico guru (Reeves).

Arlen vuole vendicarsi dei suoi aggressori, per questo si mette a caccia di cannibali nella “Bad Batch”. Quando però incontra un padre con la sua bambina, metterà in discussione il suo odio…

Il film ha un ritmo davvero compassato, con un pathos narrativo inesistente. La sceneggiatura è povera, priva di una precisa identità, con dialoghi scarsi.

Il cast stellare e talentuoso – che comprende, oltre al già citato Keanu Reeves anche un irriconoscibile Jim Carrey – non viene sfruttato al meglio, avendo optato la regista per una recitazione quasi esclusivamente fisica.

La regia della Amirpour è però visionaria, ispirata, onirica, sicuramente di talento.

La fotografia, con i suoi paesaggi desertici, e l’ipnotica colonna sonora vanno inseriti tra i pregi del film, che comunque risulta troppo, troppo lungo.

Il finale è poetico, in qualche modo persino romantico, nel suo sottolineare come, persino nella desolata Bad Batch, è possibile che nasca l’amore e si possa creare una famiglia.

 

Il biglietto da acquistare per “The Bad Batch” è:
Neanche regalato (con riserva). Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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