“The deep”: ispirato alla storia vera dell’uomo che ha sfidato la natura

Il film di Baltasar Kormákur funziona nella prima parte, in mare, si inabissa nella seconda, a terra

Un film di Baltasar Kormákur. Con Ólafur Darri Ólafsson, Jóhann Jóhannsson, Þröstur Leó Gunnarsson, Björn Thors, Stefán Hallur Stefánsson. Drammatico, 95′. Islanda 2012

Sull’isola di Heimaey, al largo delle coste islandesi, Gulli e compagni alzano il gomito e aspettano domani per prendere il mare. Pescatori senza fortuna gettano le reti ma pescano rocce. Incagliate in profondità, le reti bloccano l’argano e rovesciano il peschereccio. Le acque gelide dell’Atlantico non lasciano scampo ai pescatori che muoiono uno dopo l’altro. Solo Gulli sembra miracolosamente resistere al freddo dell’oceano. Deciso a restare vivo, nuota fino alla costa che raggiunge sei ore dopo, diventando un eroe nazionale e un fenomeno scientifico (e mediatico) ancora senza spiegazione.

 

L‘attaccamento alla vita dell’uomo, il suo istinto di sopravvivenza, è qualcosa di inspiegabile. Così resta ancora oggi un mistero come Gulli, giovane pescatore islandese, sia riuscito a non soccombere, come tutti gli altri membri del suo equipaggio, all’inabissamento di un peschereccio.

Ispiratosi a fatti di cronaca realmente accaduti, il regista Baltasar Kormákur, adolescente all’epoca dei fatti, in “The deep” – girato nel 2012, prima di “Everest”, ma arrivato nei nostri cinema solo quest’anno – racconta la storia di un uomo divenuto leggenda, eroe nazionale, fenomeno scientifico (e mediatico).

Nonostante l’ambientazione poco familiare – il mare e il freddo dell’estremo Nord – e il contesto stesso piuttosto estraneo – la vita dei pescatori -, il regista riesce a mettere lo spettatore a proprio agio, rendendo naturale tutto ciò che passa sullo schermo. Si entra in simbiosi con i personaggi, si vivono in prima persona i loro drammi.

“The deep” funziona bene nella prima parte, molto meno nella seconda. Fin quando si tratta di raccontare la vita in mare con le sue avversità, compreso il totale isolamento nelle acque gelide dell’oceano di Gulli – interpretato da un intenso Ólafur Darri Ólaffson -, si viene catturati da un racconto coinvolgente grazie all’utilizzo delle immagini e dei flashback in formato 8mm che raccontano il passato del protagonista.

Ma quando il giovane pescatore, ormai in salvo a terra, deve fare i conti con la notorietà e con tutta una serie di esperimenti ed esami, attraverso i quali si vorrebbe trovare una spiegazione scientifica a quello che sembrerebbe invece un vero e proprio miracolo, il film si inabissa. Il finale, almeno, è intenso.

 

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Concetta Piro
Nata a Napoli, a otto anni si trasferisce in provincia di Gorizia dove si diletta di teatro. Torna nella sua amata città agli inizi del nuovo millennio e qui si diploma in informatica e comincia a scrivere - pensieri, racconti, per poi arrivare al primo romanzo, "Anime". Nel frattempo ha cambiato di nuovo città e scenario, trasferendosi nelle Marche. Oggi conduce per RadioSelfie.it "Lo chiamavano cinema", un approfondimento settimanale sulla settima arte, e scrive articoli sullo stesso tema.

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