“The Eichmann Show”: il processo del secolo tra realtà e ricostruzione

Come il procedimento a carico del gerarca nazista Adolf Eichman fece conoscere l'Olocausto al mondo

Un film di Paul Andrew Williams. Con Martin Freeman, Anthony LaPaglia, Rebecca Front, Zora Bishop, Andy Nyman. Drammatico, 95′. USA 2015

L’SS-Obersturmbannführer Adolf Eichmann, responsabile del traffico ferroviario che trasportava gli ebrei nei campi di concentramento, viene catturato dal Mossad in Argentina l’11 maggio 1960. L’11 aprile 1961 ha inizio a Gerusalemme il processo a suo carico. Il produttore televisivo Milton Fruchtman riesce, non senza fatica, a convincere le autorità israeliane e i giudici della necessità di riprendere le varie fasi del dibattimento. Altrettanta fatica deve sopportare per convincere i responsabili della televisione ad assumere come regista Leo Hurwitz rimasto per dieci anni nella lista nera della commissione McCarthy impegnata nella caccia alle streghe ‘comuniste’. Si tratta della prima occasione per il mondo intero di assistere alle testimonianze sconvolgenti dei sopravvissuti e quindi prendere direttamente coscienza delle dimensioni dell’Olocausto.

 

La televisione è tutt’altro che istruttiva, manda in onda programmi diseducativi e volgari, è il nuovo oppio dei popoli. Da convinto teledipendente quale sono, mi è capitato molte volte di ascoltare – con fastidio, lo ammetto – frasi come queste, pronunciate da chi si sente culturalmente diverso. Superiore, per certi versi.

Eppure chi sostiene che la televisione sia una cattiva maestra sempre e comunque probabilmente non conosce la storia del processo al nazista Adolf Eichman, svoltosi in Israele nell’aprile del 1961.

Alla fine della seconda guerra mondiale molti gerarchi dell’ex regime riuscirono a scappare e a rifugiarsi, sotto falsa identità, in Sud America. Un blitz del 1960 portò alla cattura di uno di loro, Adolf Eichman, l’esecutore della “Soluzione Finale”. L’uomo fu poi condotto in Israele per essere processato come criminale di guerra e il Primo ministro israeliano Ben-Gurion decise di predisporre un processo pubblico, che avesse un’ampia risonanza mediatica.

Per realizzare un vero e proprio show convocò il produttore americano Milton Fruchtman (Freeman), subito convinto delle straordinarie potenzialità comunicative dell’evento, che avrebbe permesso a Israele e ai sopravvissuti dei campi di sterminio di raccontare al mondo le atrocità subite e la lucida follia del nazismo.

Come regista dello show fu scelto il talentuoso e carismatico Leo Hurwitz (LaPaglia), che stava vivendo un momento di declino professionale dopo essere stato inserito nella lista McCarthy con l’accusa di agire contro gli interessi dell’America.

A molti potrà sembrare paradossale che “The Eichmann Show” di Paul Andrew Williams scelga di mettere in risalto il dietro le quinte della produzione televisiva piuttosto che il processo in sé, ma ciò che interessa è far capire come fu possibile realizzare uno show all’interno di un procedimento penale.

Lo spettatore segue la preparazione della coppia Fruchtman-Hurwitz, chiamata a fronteggiare problemi tecnici e ritrosie da parte dei giudici, molto restii ad ammettere in aula le telecamere. Il processo doveva sì essere mediatico, ma anche dimostrare la capacità dello stato ebraico di far funzionare la giustizia, garantendo un trattamento equo a Eichman.

La scommessa professionale e personale in cui si lanciò Fruchtman era enorme: da un lato si impegnò a catturare l’attenzione del mondo, scuotendo la coscienza di persone ancora quasi ignare della tragedia dell’Olocausto; dall’altro dovette subire pressioni e minacce alla sua famiglia da parte di fanatici nazisti.

Per Hurwitz, invece, il processo rappresentava l’opportunità di un riscatto professionale ma anche l’occasione di comprendere e mostrare attraverso le riprese se in Adolf Eichman fosse presente un minimo di umanità.

Il film risulta avvincente ed emozionante anche grazie a una sceneggiatura ben scritta, incalzante e solo in parte retorica, senza per questo essere banale o scontata. La scelta registica di mettere insieme le immagini vere del processo e le testimonianze dei superstiti con le scene di finzione è convincente sia sul piano narrativo che su quello emotivo.

Come spesso accade, la realtà è superiore anche alla più brillante e riuscita sceneggiatura: il film perde infatti forza e incisività quando sulla scena ci sono gli attori che, pur dimostrandosi di talento e credibili, non reggono il confronto con il dolore degli uomini e delle donne che rivelarono le cicatrici delle proprie anime.

Adolf Eichman, dopo un drammatico confronto con il procuratore generale sulle sue personali responsabilità nell’eccidio fu ritenuto dai giudici responsabile dei capi d’accusa e condannato a morte per impiccagione nell’aprile del 1962 (la prima e unica mai eseguita in Israele nel corso della sua storia).

Forse oggi la televisione ha perso molto della sua missione originaria di divulgazione e comunicazione, ma vedendo questo film lo spettatore non potrà non essere grato al vecchio tubo catodico che fece sì che la parola Olocausto entrasse nel vocabolario comune, come il ricordo di quanto ad Auschwitz, negli anni ’40 del Novecento, si fosse persa ogni forma di umanità

 

Il biglietto da acquistare per “The Eichman show” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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