“The French Dispatch”: Wes Anderson e la sua lettera d’amore al giornalismo

Un cast stellare per una storia variegata, che fa ridere parecchio ma lascia qualche dubbio

Un film di Wes Anderson. Con Frances McDormand, Timothée Chalamet, Elisabeth Moss, Willem Dafoe, Léa Seydoux, Saoirse Ronan. Commedia, 108′. USA 2021

Nella cittadina di Ennui-sur-Blasé ha sede la redazione francese del quotidiano “French Dispatch”, che tratta argomenti di vario tipo, dalla politica mondiale alla cronaca passando per arte, moda, cucina. Quando il direttore del giornale muore, i redattori decidono di pubblicare un numero commemorativo, che raccolga tutti gli articoli di successo che il French Dispatch ha pubblicato negli ultimi anni. Tra questi, quelli inerente il rapimento di uno chef, la condanna al carcere a vita di un artista per un duplice omicidio e un reportage sui moti studenteschi del ’68.

 

Dopo Nanni Moretti, anche Wes Anderson è stato colpito dalla “maledizione di Cannes”, scegliendo di posticipare di un anno l’uscita del suo film, “The French Dispatch”, per riuscire a partecipare al prestigioso festival (rimandato nel 2020).

La pazienza e il coraggio di osare sono doti rare quanto preziose nella vita, ma se vengono applicate con rigore nel mondo del cinema il rischio di farsi male è alto.

Quello di Anderson era probabilmente il film più atteso sulla Croisette, visto il cast stellare e il regista geniale e visionario. Se devo giudicare dalle reazioni post-proiezione (freddine) e dal silenzio dei colleghi, l’attesa è stata ampiamente disillusa.

Attenzione, caro lettore, con questo non voglio dire che “The French Dispatch” sia un brutto film. Semplicemente non è un film “alla Anderson”, piuttosto una sgambata artistica in quel di Cannes, un esercizio autoriale elegante, spassoso, ironico ma piuttosto ripetitivo e povero sul piano drammaturgico.

Questa “lettera d’amore al giornalismo e ai giornalisti”, com’è già stata definita, manca di originalità. I tre episodi che costituiscono il centro della storia sono pensati per sfruttare il talento del cast, e che cast. 

Il regista americano, per il suo decimo film, ha potuto contare su attori del calibro di Billy Murray, Tilda Swinton, Frances McDormand, Adrien Brody. Ognuno svolge il compito con talento ed esperienza, divertendosi, ma senza lasciare il segno.

L’operazione “acchiappa-consensi” molto probabilmente funzionerà al botteghino (“The French Dispatch” arriverà al cinema in Italia l’11 novembre) ma quando lo spettatore, attirato dalla confezione, realizzerà che questo film è nato per gioco e manca di una precisa idea di fondo, potrebbero esserci dei problemi.

Per quanto possa valere, il vostro inviato ha faticato a tenere gli occhi aperti, a causa della stanchezza accumulata in queste prime giornate e dello stress legato al Covid. Dopo mezz’ora di nulla, per quanto bello, le braccia di Orfeo mi sembravano più allentanti di Anderson.

“The French Dispatch” visivamente è magnifico. Le scenografie ricercate, i costumi e il trucco, il montaggio e l’audio sono le armi in più che il regista dimostra di saper utilizzare alla grande. Dialoghi e gag fanno ridere e sorridere, ma si avverte la mancanza di qualcosa che leghi insieme tante belle individualità ed elementi diversi. 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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