“The golden glove”: storia di un serial killer nella Amburgo degli anni ’70

Un film crudo, scioccante, difficile da digerire che riprende fatti di cronaca realmente accaduti

Un film di Fatih Akin. Con Marc Hosemann, Jonas Dassler, Adam Bousdoukos, Katja Studt,  Margarete Tiesel. Thriller, horror, 110′. Germania, Francia 2019

Il quartiere di St. Pauli nella Amburgo degli anni ’70 è un quartiere di divertimento notturno, frequentato da prostitute e ubriachi, giocatori d’azzardo incalliti e altre anime sole. Fritz Honka è uno di loro…

 

Una cosa che ho imparato “frequentando” i festival del cinema è che ogni edizione, o quasi, ha bisogno di avere un film scioccante in cartellone. Be’ quest’anno la Berlinale, con “The golden glove”, si è superata.

La pellicola di Fatih Akin è violenta, selvaggia, terribile, orrenda, sconvolgente, brutale, rivoltante… devo continuare? Se mi chiedeste se vi consiglio di guardarla, direi mille volte di no, perché non vorrei sottoporvi a cotanta bestialità. Ma non fraintendetemi, è un film fatto benissimo!

Il regista confeziona un’opera con un ritmo perfetto, una sceneggiatura accuratissima e un’interpretazione magistrale dell’attore protagonista, il giovane Jonas Dassler, che si è letteralmente trasformato nel serial killer Fritz Honka: orribile e ripugnante, volgare e animalesco, preda dei più bassi e folli istinti. Un personaggio che ci nausea fin dalla prima all’ultima scena. Questo si chiama calarsi nella parte ed essere camaleontici! Il ragazzo ha talento da vendere, non perdiamolo di vista.

Il Golden glove del titolo è il bar dove Honka adescava le sue vittime nella prima metà degli anni Settanta, nel quartiere a luci rosse di Amburgo. Nel bar passavano la giornata gli alcolizzati della città, i rifiuti della società, turpi, luridi e osceni.

Una volta varcata la porta si entra praticamente in un girone dell’inferno, dove non c’è speranza di redenzione per nessuno, perché nessuno la cerca. E le tende sono sempre chiuse perché, come spiega il barista all’avventuriero adolescente, la gente non beve se c’è la luce del sole. Questo luogo disperato fa da sfondo alla vicenda, insieme al disgustoso appartamento di Honka, dove lui porta, spesso stupra, uccide, fa a pezzi e poi nasconde le sue vittime, delle prostitute.

Dal linguaggio alle inquadrature questo film è il trionfo della bruttezza e della barbarie, dove un viso bello e pulito sembra fuori luogo eppure necessario come l’ossigeno sott’acqua. Chiudiamo gli occhi davanti alle scene più atroci, ma non possiamo impedire alle orecchie di sentire i terribili rumori.

Vogliamo che tutto finisca, perché è difficile tollerare un essere così schifoso, e fortunatamente la vicenda finisce “bene”, con la scoperta e la cattura di Honka. Ma il disgusto che proviamo non finisce, soprattutto se pensiamo che è tutto successo davvero.

Ripeto, non vi consiglio di guardare “The golden glove”, nonostante sia un film effettivamente molto ben riuscito. Se decidete di guardarlo, però, assicuratevi di non essere deboli di stomaco. Io so che non lo guarderò mai più.

 

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