“The predator”: un film che unisce azione, ritmo e – troppa? – ironia

Il quarto capitolo della serie abbandona la strada dell'horror puro per puntare su azione e comicità

Twentieth Century Fox's "The Predator."

di Concetta Piro

 

Un film di Shane Black. Con Boyd Holbrook, Trevante Rhodes, Jacob Tremblay, Keegan Michael Key, Olivia Munn. Azione, 107′. USA 2018

Lo sniper Quinn McKenna impegnato in una missione in Messico si trova improvvisamente di fronte a un Predator. Riesce a impadronirsi del suo casco e di un copri braccio che invia al proprio domicilio come prova dell’incontro con l’alieno. Quando il pacco arriva è il figlio Rory, che soffre di una forma particolare di autismo, ad aprirlo e a mettere in funzione un dispositivo molto particolare. Intanto il Predator, che potrebbe non essere solo, fa sentire la sua presenza.

 

Proseguire una saga cinematografica, a prescindere dalla sua popolarità, è uno dei compiti più ardui che un regista possa prefiggersi. È impossibile sottrarsi ai giudizi degli appassionati, alla tentazione di mettere vecchio e nuovo a confronto e fare classifiche di merito. Il rischio di annoiare e riproporre cose già viste è sempre dietro l’angolo.

Quarto capitolo della serie, iniziata nel 1987 con il film di John McTiernan, “The predator” di Shane Black, qui anche nel ruolo di attore, sembra puntare sin dalle prime sequenze più sull’azione che sull’horror. Tanto che, anche quando avviene l’approccio con il predatore, chi guarda è più incuriosito dalla messa in scena e dalla sceneggiatura che dall’aspetto spaventoso – non pervenuto – del mostro.

A spingere lo spettatore a sottovalutare, in un certo senso, il film sono anche l’ironia e l’ilarità che serpeggiano, veicolate da doppi sensi e battute spesso al limite del ridicolo. La scelta di inserire queste componenti non è ben chiara, perché a tratti sembra involontaria, a tratti ragionata.

Menzione speciale per il giovane Jacob Tremblay (Room, Wonder) che riesce ad attirare su di se l’attenzione, ogni volta che è in scena. Con il suo talento riesce a interpretare Rory, il figlio autistico del protagonista, senza sbavature. La natura ambivalente del film, però, finisce però per sminuire il suo lavoro.

Insomma, “The predator”, se considerato come proseguimento di una saga horror, non convince molto. Se invece lo si vuole guardare come un prodotto a se stante, una sorta di ibrido con risvolti comici, le cose da salvare aumentano di numero.

 

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