“The son”: Hugh Jackman in un dramma da camera claustrofobico

Il nuovo film di Florian Zeller cerca di risultare realistico ma pecca in umanità e calore

Un film di Florian Zeller. Con Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby, Zen McGrath, Hugh Quarshie. Drammatico, 123′. USA 2022

Peter Miller è un professionista di successo in procinto di accettare un importante incarico nella campagna presidenziale. Ha una giovane moglie, Beth, e un figlio nato da poco. Tutto sembra filare a gonfie vele, nonostante la stanchezza di Beth che deve gestire il neonato da sola, ma sulla porta del loro appartamento compare Nicholas, il figlio adolescente che Peter ha avuto dall’ex moglie Kate. Kate non riesce più a gestire quel teenager ombroso che marina la scuola e sembra avercela col mondo, e ha accettato la richiesta del figlio di andare a vivere dal padre e dalla donna per cui è stata lasciata. Peter dovrà fare i conti con la presenza del figlio ma anche con i suoi sensi di colpa e con il suo vissuto famigliare.

 

Adattamento cinematografico della pièce teatrale omonima, scritta dal regista e drammaturgo francese Florian Zeller insieme a Christopher Hampton (che ha firmato la sceneggiatura di “Le relazioni pericolose”, “Espiazione”, nonché dello stesso “The Father”), “The Son” è un dramma da camera, che si consuma dietro le porte chiuse di un appartamento e in pochi altri ambienti.

Nicholas (McGrath) è un teenager che vive un profondo disagio esistenziale che lo ha portato a chiudersi nei confronti del mondo. In accordo con la madre Kate decide allora di trasferirsi dal padre Peter (Jackman), uomo carismatico con velleità politiche, che dopo il divorzio si è risposato e ha un figlio nato da poco.

“The son” vorrebbe raccontare in modo onesto e schietto la famiglia contemporanea e come un padre poco presente si ritrovi a fare i conti con i problemi, anche psicologici, del figlio. Il risultato finale, però, viene soffocato dalla sceneggiatura e dagli ambienti severi, ed è privo di quell’impatto emotivo di cui una storia di questo tipo avrebbe disperatamente bisogno.

Sì, la depressione è una malattia complessa, ed è ammirevole che Zeller preferisca essere essenziale e veritiero nel rappresentarla piuttosto che avvincente ma costruito. Eppure privare Nicholas di qualsiasi tratto identificabile oltre la sua malattia lo rende freddo, artificiale, poco vicino a chi guarda. 

Hugh Jackman nel ruolo di Peter, invece, risulta abbastanza credibile e aiuta a salvare questo dramma claustrofobico dalla deriva più assoluta. Il suo personaggio ci risulta al contempo simpatico e antipatico, ma ci aiuta a riflettere su tematiche come l’incomunicabilità fra adolescenti e genitori e il suo possibile sconfinamento nella patologia che sono sempre attuali e rilevanti. 

In ultima analisi, se “The Father”, grazie anche alla prova straordinaria di Anthony Hopkins, premiato con l’Oscar, aveva fatto sentire al pubblico esattamente ciò che il personaggio stava provando, in “The son” manca un pizzico di umanità e di approfondimento su certi elementi – come i motivi della fine del matrimonio tra Peter e Kate, presentato solo, di sponda, come un idillio senza imperfezioni. 

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