“Tony driver”: un film che dimostra l’assurda inutilità delle frontiere

Pasquale Donatone one man show nel primo lungometraggio di Pasquale Donatone, presentato a Venezia

Un film di Ascanio Petrini. Con Pasquale Donatone. Commedia drammatica, 73’. Italia, Messico 2019

Pasquale un giorno decide di cambiare nome e farsi chiamare Tony. Perché sebbene nato a Bari, a 9 anni, a metà degli anni Sessanta, vola oltreoceano con la famiglia e cresce da vero americano. Tassista di professione a Yuma, viene arrestato a causa del suo “secondo lavoro”: trasportare migranti illegali negli Stati Uniti attraverso la frontiera messicana. È così costretto a scegliere: la galera in Arizona o la deportazione in Italia. Rientrato in Puglia, si ritrova a vivere solo in una grotta a Polignano a Mare e guarda l’Italia come un piccolo Paese immobile, senza opportunità e senza sogni. Ma Tony non è disposto ad arrendersi…

 

Pasquale è nato a Bari ma vive in America da quando aveva nove anni. Fa il tassista e, per arrotondare, trasporta migranti dalla frontiera del Messico negli Stati Uniti fin quando non viene scoperto e rimandato in Italia. Ma il sogno americano che gli scorre nelle vene non si spegne…

Pensato come una sorta di documentario con un protagonista unico e assoluto, Pasquale Donatone, “Tony Driver”, primo lungometraggio di Ascanio Petrini, presentato in concorso alla Settimana internazionale della critica 2019, possiede sicuramente un forte carattere. Lo dimostrano la fotografia netta e definita, l’alternanza di inglese e italiano a seconda del luogo in cui si svolgono le scene, le musiche, ricercate ma mai fuori luogo.

La breve durata e il ritmo serrato della storia fanno sì che la visione di “Tony Driver” sia leggera e scorrevole. Pensieri e situazioni arricchiscono una trama che comunque non è mai forzata o eccessiva. Tutti gli elementi sono distribuiti in modo tale da rendere il racconto di Pasquale Donatone intimo ma comprensibile.

 

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