“Tory e Lokita”: una struggente storia di fratellanza contrastata

I fratelli Dardenne tornano a pungere raccontando la vita di due giovani immigrati in Belgio

Un film di Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne. Con Mbundu Joely, Pablo Schils, Marc Zinga, Claire Bodson, Baptiste Sornin. Drammatico, 80′. Francia 2022

Lokita è una ragazza che, nell’arrivo in Europa, ha incontrato un bambino, Tori. I due sono diventati di fatto, pur provenendo l’una dal Camerun e l’altro dal Benin, fratello e sorella. Per la legge del Belgio però devono poterlo dimostrare e, non riuscendovi, il lato peggiore della vita è in loro attesa.

 

Sembra essere scritto nelle stelle di Cannes, che la musica italiana faccia da accompagnamento a film in odore di Palma d’oro. Nel 2019 Gianni Morandi trionfò insieme al coreano “Parasite”. Quest’anno potrebbe essere la volta di Angelo Branduardi con “Alla fiera dell’est”, abbinata al nuovo film dei fratelli Dardenne.

“Tori e Lokita” è una storia commovente, semplice ma potente, e non vorrei correre il rischio di sbilanciarmi troppo, ma se sabato dovesse aggiudicarsi qualche premio sarebbe più che meritato.

Dopo un paio di pellicole alquanto scialbe, i fratelli Dardenne sono tornati a pungere come ai vecchi tempi con una storia di “fratellanza di fatto” anche se non certificata da un legame di sangue. Una sceneggiatura essenziale, come nella migliore tradizione dei due registi, ma che col passare dei minuti cresce in forza e valenza simbolica.

Tori (Schils) e Lokita (Joely) sono due ragazzi immigrati che vivono da soli in una città imprecisata del Belgio. Vengono dal Benin e dal Camerun eppure si sentono fratelli, per il legame profondo che hanno instaurato, e lo spettatore li percepisce come tali.

Lui ha 11 anni, ma è sveglio come un adulto. Lei ne ha 16, ma porta già sulle spalle e soprattutto nell’anima il peso di tante preoccupazioni, ingiustizie e vessazioni subite. Lokita vorrebbe mandare dei soldi alla madre e ai fratelli, ma riesce a mettere poco o nulla da parte.

I due ragazzi vivono insieme in una struttura statale, e si prendono cura l’uno dell’altra. Lavorano al ristorante, intrattenendo i clienti con il karaoke. In realtà sono diventati anche gli spacciatori di fiducia dello chef Betim (Alban Ukaj), che usa il ristorante come copertura per la sua attività illecita. Il loro bisogno di denaro, d’altro canto, è disperato, legato alla sopravvivenza non solo propria ma delle persone amate…

I fratelli Dardenne, mettendo al centro questo frenetico bisogno dei due giovani protagonisti di guadagnare dei soldi, vogliono evidenziare la differenza tra l’avidità dei bianchi – ovvero dello chef spacciatore – e la disperazione composta di Lokita e Tori.

I due lottano e sgomitano per la libertà, ma soprattutto vorrebbero viverla insieme. I loro tentativi, però, vengono ostacolati prima dalla burocrazia ottusa (secondo cui per essere considerati fratello e sorella devono dimostrare di esserlo davvero) e poi dalla disumanità delle persone che, in teoria, vivono in una società moderna e democratica.

Pablo Schils e Mbundu Joely dimostrano un’alchimia umana straordinaria, scomparendo nei rispettivi personaggi e facendoli letteralmente vivere. Le loro parole e i loro sguardi bucano lo schermo e colpiscono al cuore. Di sicuro le migliori performance viste fino a oggi a Cannes 2022.

“Tori e Loikita” è una tenera storia di amicizia e fratellanza che supera i legami di sangue. Una visione che ti coinvolge poco a poco, e dopo non ti lascia più andare fino al finale.

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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