“True Detective”: recensione della terza stagione della serie poliziesca

Mahershala Ali protagonista dei nuovi otto episodi che riprendono - troppo vistosamente - i primi otto

Con Mahershala Ali, Carmen Ejogo, Stephen Dorff, Ray Fisher. Drammatico, poliziesco, thriller. USA. 2014-in produzione

 

Vista l’accoglienza tutt’altro che positiva riservata alla seconda stagione, “True Detective” decide di tornare alle origini, raccontando nei nuovi otto episodi con protagonista il fresco Premio Oscar Mahershala Ali una storia sulla falsa riga di quella che l’ha porta al successo, nel 2014.

Creata da Nic Pizzolatto, la terza stagione prova a recuperare il suo pubblico attraverso rimandi e riprese, e un’indagine che si sviluppa su differenti piani temporali. Tralasciando la qualità del prodotto, questa scelta tutto sommato facile deve fari riflettere.

Chi ha amato la “True Detective” con Matthew McConaughey sarà molto probabilmente rapito dalla narrazione. Io sinceramente speravo in qualcosa di diverso. Vista l’accoglienza negativa della seconda stagione la scelta degli sceneggiatori di ripercorrere una strada nota e vincente è comprensibile, altro discorso è giustificare la loro totale mancanza di inventiva e innovazione.

Tre dimensioni temporali, una sola indagine. Tutto inizia nel 1980 quando il caso della scomparsa di due bambini nell’Arkansas viene affidato ai detective Wayne Hays (Ali) e Roland West (Dorff). La cittadina è terrorizzata dall’accaduto e le tensioni tra gli abitanti si fanno sempre più forti, portando i protagonisti in un territorio più ostile del previsto.

L’aspetto meglio trattato è lo scorrere del tempo, l’effetto che questo ha Hays. Inquadratura dopo inquadratura si vede il suo decadimento, che ha imposto a Mahershala Ali tre make up. All’inizio della storia è un giovane ancora traumatizzato dall’esperienza in Vietnam come il Travis Bickle di “Taxi driver”, che beve molto e non frequenta quasi nessuno, ad eccezione della futura moglie. Nel 1990 è sposato, perennemente arrabbiato con se stesso per via dell’indagine e del suo rapporto coniugale travagliato. Nel 2015 è l’ospite anziano di un programma che ripercorre la sua indagine negli anni passati.

Ogni timeline ha i suoi focus, come i tasselli di un mosaico complessivo molto complicato, e questo offre una grande varietà di tematiche, tutte però poco incisive. Nel 1980 vediamo la speranza di un uomo che cerca di distrarsi attraverso un’indagine; nel 1990 l’insicurezza per le sue azioni passate; nel 2015 la consapevolezza dei fallimenti, della mole di dettagli che ha ignorato nella sua vita.

L’uso massiccio di digressioni, che servono ad allungare la storia infarcendola inutilmente di eventi per non far vedere quanto sia in realtà poco incisiva, è un evidente limite di questa stagione.

Gli spunti di riflessione non mancano, è la rincorsa insistita all’esordio di “True Detective” che infastidisce. Episodio dopo episodio la confusione narrativa aumenta, così come eventi e situazioni intricate che non sono però raccontate in modo fresco e brillante.

Il cuore di quest’ultima annata sta tutta in Wayne Hays/Mahershala Ali, ma non sembra essere abbastanza, soprattutto nella televisione di oggi dove ogni dettaglio viene curato all’inverosimile. La mole del protagonista non riesce a nasconderde del tutto la pochezza della storia.

 

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