“Tumbbad”: un sorprendente fantasy indiano che prende di mira l’avidità

Rahi Anil Barve e Adesh Prasad dirigono un film che spazia tra i generi e si avvale di un buon cast

Un film di Rahi Anil Barve, Adesh Prasad. Con Sohum Shah, Deepak Damle, Jyoti Malshe, Anita Date, Dhundiraj Prabhakar Jogalekar. Drammatico, 104’. India, Svezia 2018

India, XIX secolo: ai margini del fatiscente villaggio di Tumbbad vive Vinayak, testardo figlio illegittimo del signore locale, ossessionato dal mitico tesoro dei suoi antenati. Il ragazzino sospetta che la bisnonna, strega vittima di una maledizione, ne conosca il segreto ed è da lei che scoprirà dell’esistenza di una divinità malvagia posta a guardia del tesoro. Quella che inizia con una manciata di monete d’oro, si trasforma in una brama vertiginosa che crescerà per decenni. L’avidità di Vinayak continuerà a crescere, finché non scoprirà il segreto più grande di tutti, qualcosa che vale più del tesoro stesso!

 

Nel mondo c’è quanto basta per le necessità dell’uomo, ma non per la sua avidità. Le illuminate e quanto mai attuali parole del Mahatma Gandhi introducono lo spettatore all’inquietante quanto magica storia raccontata in “Tumbbad”, un vibrante e sorprendente fantasy indiano, diretto da Rahi Anil Barve e Adesh Prasad, che ha aperto la 32° Settimana internazionale della critica a Venezia.

Dopo aver visto la pellicola, mi sono venute in mente altre due massime che ben si adattano alla storia: “Alla povertà manca molto, all’avidità tutto” di Publio Sirio e “Di più non basta mai” di Jordan Belfort.

“Tumbbad” è un interessante e creativo ibrido, che mescola diversi generi cinematografici con la tradizione indiana, inserito temporalmente negli anni tumultuosi tra il 1919 e il 1949, che portarono l’India a ottenere l’indipendenza dall’impero britannico.

Lo spettatore, ascoltando il suggestivo racconto di un padre al figlio, scopre l’origine e la funzione di Tumbbad, un palazzo o se preferite un tempio costruito dagli antenati per evocare il dio Hastar, figlio della Dea dell’abbondanza, avido di ricchezza e cibo al punto da essere rinchiuso dalla madre nel suo stesso grembo, pur di sottrarlo alle ire dei fratelli.

Una rappresentazione non solo metaforica ma fisica di come l’avidità possa diventare una condanna e una maledizione per una famiglia.

Il film è diviso in tre atti di stampo teatrale, ma porta lo spettatore a entrare subito in sintonia con il protagonista Vinayak, accompagnandolo con interesse, stupore e curiosità nell’arco della sua incredibile esistenza, condividendone alcune scelte, disapprovandone altre.

“Tumbbad” è una pellicola molto particolare, che stupisce e conquista alternando momenti da horror puro ad altri più intimi, senza che questo intacchi mai la solidità e linearità dell’intreccio. Di grande impatto la ricostruzione storica, attenta e precisa.

I due registi dimostrano di possedere talento, intelligenza e la giusta dose di furbizia creativa, costruendo una pellicola diversamente autoriale che si rivolge a un pubblico più ampio e permette diverse chiavi di lettura, merito anche di un valido cast.

La parabola di Vinaykay, pur rappresentando il peggio dell’essere umano, conserva nel finale un filo di speranza e ottimismo per le nuove generazioni, rappresentate dal figlio adolescente del protagonista e della dolorosa scelta che viene chiamato a compiere.

Per lo spettatore non resta che cogliere la morale della storia: avidità e bramosia di potere possono rivelarsi i peggiori consiglieri dell’uomo.

 

Il biglietto da acquistare per “Tumbbad” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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