Una casa alla fine del mondo, Michael Cunningham

Una casa alla fine del mondoJonathan e Bobby sono amici inseparabili e poi confidenti e amanti nel corso di un’appassionata e difficile adolescenza a Cleveland, Ohio. La vita, la maturità e il capriccio del destino li separano, per poi farli incontrare a New York solo anni più tardi. Jonathan ora vive con una donna, Clare, la sua amica più cara, la sua compagna più vera. Bobby si trasferisce a casa dei due e, quando comincia una relazione con Clare, gli equilibri sentimentali e psicologici dei tre ne vengono lentamente ma inesorabilmente sconvolti. Romanzo d’esordio dell’autore di “Le ore”, racconta le incertezze dell’amore e la ricerca di un nuovo equilibrio in un mondo che si sforza di non crollare sotto il peso delle convenzioni che si sfaldano. Romantico, ribelle, spregiudicato, è stato pubblicato in sedici paesi, e ha fatto conoscere al mondo il talento letterario di Michael Cunningham.

 

“Una casa alla fine del mondo” è uno di quei libri da cui, personalmente, non mi staccherei mai. Uno di quelli che senti quasi il dolore fisico, quando arrivi alla fine. Che poi, la fine di un libro di questo tipo non ti soddisfa quasi mai, perché viene messa in un punto un po’ troppo arbitrario, perché non chiude il cerchio ma lascia tutto aperto, perché mancano, alla fine, le risposte che cercavi.

C’è poco da fare: i film e le fiabe hanno provato a insegnarci che “e vissero per sempre (felici e contenti?)” dovrebbe bastare come punto fermo a una storia, che il finale coincide con il lieto fine e quello che poi è successo dopo non ha molta importanza. Ci si chiede forse come è stata la vita matrimoniale di Cenerentola e del suo Principe? Di Biancaneve? Della Bella Addormentata? Certo che no!

A ben vedere anche la vita è un po’ così, va saputa prendere e bisogna sapersi accontentare. Perché se volessimo davvero trovare un punto fermo a ogni situazione che ci capita, a ogni evento, non potremmo far altro che aspettare la morte degli attori.

Ecco, hanno provato a insegnarci che non si può sapere tutto, che la storia deve finire, prima o dopo. Eppure nei libri questo “fine” messo a un certo punto non ci convince mai del tutto. Almeno, non ha convinto me in questo caso.

Clare lascia i suoi due uomini, i suoi due amori, nella casa che ha comprato per loro, portando via con sé la figlia Rebecca. Bobby e Jonathan restano indietro, prendendosi cura di un uomo morente. Titoli di coda.

Ma che è successo dopo? Come è andata a finire davvero? Jonathan ha contratto l’AIDS? Bobby ha dovuto prendersi cura del migliore amico/fratello/anima gemella fino alla fine dei suoi giorni? E, nel caso, che ha fatto dopo? E Clare? E Rebecca?

Per una storia come questa, sclerotica nel suo essere corale, profondamente secondo-Novecento (perché non si può negare che certe situazioni, per un lettore del XXI secolo, risultino lontane come i dinosauri, anche se di fatto da quel periodo ci separa soltanto qualche decina di anni) un finale come questo poteva forse essere l’unico possibile. Eppure lascia con l’amaro in bocca.

Perché chi legge si lega ai personaggi, alle loro vicende, ai loro dispiaceri. Perché le voci che raccontano la storia sono così profondamente differenziate e così vere che si finisce per capirle, anche se magari non si condividono né le idee né i pensieri né gli stili di vita dei possessori delle sopracitate voci.

Perché il libro è bello, ben scritto, struggente e coinvolgente.

Perché, come ho detto in apertura, avrei voluto che, più o meno, non finisse mai. E invece finisce così, con Jonathan che si sente finalmente parte di qualcosa, Bobby che ha già capito la decisione di Clare di andarsene, Clare che sfreccia via verso un futuro dai contorni sfuocati con una bambina che si va addormentando insieme a lei.

Non saprei dire se, tra le righe, si veda una qualche morale, un qualche insegnamento di cui fare tesoro. Non tutti abbiamo la vita che meritiamo o che sogniamo – prendete Alice, la madre, che per seguire un marito che ha sposato sull’onda dell’entusiasmo si vede prima costretta a stabilirsi a Cleveland e poi a lasciare tutto per il deserto dell’Arizona –, ma per certi versi tutti possiamo fare sempre qualcosa per avere di più – prendete sempre Alice, che sulla soglia dei 60, rimasta vedova, si crea una sua attività, cambia pettinatura, si fa un amante più giovane -, almeno fino a che siamo vivi. Solo la morte è inevitabile e definitiva. Tutto il resto possiamo cambiarlo. Volendo.


Previous articleRomanzi storici: 6 libri per scoprire Roma antica
Next articleIntervista a Cristina Panepinto: “Con un giallo vi racconto la mia Toscana”
Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here