“Una stella senza luce”: recensione del romanzo di Alice Basso

Garzanti pubblica il terzo capitolo della serie gialla ambientata nella Torino degli anni '30

i sono autori che sanno scrivere bene, che hanno un vero e proprio talento per raccontare storie coinvolgenti – oppure che si sono affidati a un buon editor, che è comunque una caratteristica lodevole. Uno potrebbe pensare che, trattandosi di scrittori di professioni, la capacità di scrivere, per l’appunto, sia scontata. Ma stando all’esperienza che mi sono fatta in questi anni non è sempre così.

Ecco, Alice Basso rientra a pieno titolo in questa categoria! Non importa che narri le gesta di una ghostwriter dalle caratteristiche fisiche che ricordano Lisbeth Salander nella Torino di oggi oppure quelle di una dattilografa degli anni ’30: potete star sicuri che quello che uscirà dalla sua penna sarà scritto in modo perfetto, accattivante, un vero piacere per gli occhi. 

Una stella senza luce, uscito per Garzanti il 12 maggio, è il terzo capitolo delle “avventure” di Anita Bo – i primi due, di cui potete leggere le recensioni su Parole a Colori, sono “Il morso della vipera” e “Il grido della rosa”. Un romanzo che mescola commedia e giallo, come di consueto, ma soprattutto che racconta il mondo del cinema italiano dei primi tre decenni del Novecento. 

Torino, 1935. Il lunedì di lavoro di Anita inizia con una novità: Leo Luminari, il più grande regista italiano, vuole portare sul grande schermo uno dei racconti gialli pubblicati su “Saturnalia”, la rivista per cui lei lavora come dattilografa. Il che significa poter curiosare dietro le quinte, intervistare gli attori e realizzare un numero speciale. Anita, che subisce il fascino della settima arte, non sta nella pelle.

L’entusiasmo, però, dura solo pochi giorni, finché il corpo senza vita del regista viene ritrovato in una camera d’albergo. Con lui, tramonta il sogno di conoscere i segreti del mondo del cinema. Ma c’è anche qualcosa che inizia in quell’esatto istante, qualcosa di molto pericoloso per Anita. Perché dietro la morte di Luminari potrebbe nascondersi la lunga mano della censura di regime. Anita e il suo capo, Sebastiano Satta Ascona, devono evitarlo: hanno troppi segreti da proteggere. Non rimane altro che indagare, ficcando il naso tra spade, parrucche e oggetti di scena.

Tra amicizie e dissapori che uniscono e dividono vecchi divi, stelle che, dopo tanti anni lontano dai riflettori, hanno perso la luce. Ogni passo falso può essere un azzardo, ogni meta raggiunta rivelarsi sbagliata. Anita ormai è un’esperta, ma questa volta è più difficile. Forse per colpa di quell’incubo che non le dà pace, un incubo in cui lei indossa l’abito da sposa, ma nero. Perché i giorni passano e portano verso l’adempimento di una promessa, anche se si vuole fare di tutto per impedire l’inevitabile.

Penso che il cappello con cui ho aperto questa recensione vi abbia già dato un’idea di cosa penso di “Una stella senza luce“. Il romanzo è ben scritto, avvincente, coinvolgente. Il “caso di giornata” porta Anita e Sebastiano – e di conseguenza il lettore – a immergersi nel dorato mondo del cinema di inizio XX secolo, popolato da dive irraggiungibili, don Giovanni aitanti, registi sognatori. L’avvento del regime cambia il volto anche di questo settore, e nonostante la leggerezza della storia, la Basso è capace di parlarne, illuminando il pubblico su tematiche delicate come la censura. 

Credo di averlo già scritto nelle due recensioni precedenti: raccontare l’Italia degli anni ’30 è meno facile di quello che uno possa pensare, perché il rischio di usare una sorta di revisionismo storico – giudicando con gli occhi moderni la situazione e dando quindi pareri negativi che invece le persone dell’epoca non potevano aver, ancora, sviluppato – è sempre dietro l’angolo. Alice Basso si destreggia bene, creando un universo credibile, popolato da personaggi credibili. E soprattutto usando l’arma dell’ironia in modo sottile e misurato, senza eccessi che potrebbero correre il rischio di trasformare la storia da commedia godibile in farsa.

Al di là dell’attenta ricostruzione storica e della componente gialla, romanzo dopo romanzo, è impossibile non appassionarsi alle vicende di Anita, Sebastiano, Clara e di tutti gli altri personaggi in quanto tali. E questa “trama orizzontale” finisce per risultare intrigante come se non di più della risoluzione del caso vero e proprio – esattamente come succedeva con le avventure di Vani Sarca, tra parentesi.

Il finale arriva, da questo punto di vista, troppo presto e in media res che più media non si potrebbe, e un po’ ci viene da storcere il naso, santa polenta coi funghi. La data per le nozze di Anita e Corrado è stata fissata. I sei mesi di lavoro che la ragazza ha chiesto al futuro marito prima di mettere su famiglia si stanno esaurendo. Anita farà quello che ci si aspetta da lei e convolerà a giuste nozze? Lo scopriremo, verosimilmente, il prossimo anno. 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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