“Volevo nascondermi”: Elio Germano fa sua la sofferenza di Ligabue

Un biopic atipico, che si concentra sulle emozioni del protagonista più che sulla mera ricostruzione

Elio Germano in una scena di "Volevo nascondermi".

di Valeria Lotti e Vittorio De Agrò

 

Un film di Giorgio Diritti. Con  Elio Germano, Oliver Ewy, Leonardo Carrozzo, Pietro Traldi, Orietta Notari.
Biopic, 120′. Italia 2020

Antonio è figlio di emigranti. Dopo la morte della madre viene affidato a una coppia svizzero-tedesca ma i suoi problemi psicofisici lo porteranno all’espulsione. Viene mandato a Gualtieri, in Emilia, luogo di cui è originario l’uomo che è ufficialmente suo padre. Qui vive per anni in estrema povertà sulle rive del Po fino a quando lo scultore Renato Marino Mazzacurati lo indirizza allo sviluppo delle sue naturali doti di pittore.

 

Non è semplice realizzare un film biografico senza scadere nel retorico o nella noia drammaturgica e visiva. Se poi la vita che si sceglie di raccontare è quella di un artista, una vita segnata da gravi problemi mentali e familiari, il rischio di portare sul grande schermo qualcosa di stereotipato e banale è ancora più grande.

Ma Giorgio Diritti e gli altri sceneggiatori sono stati bravi a evitare questa deriva, trovando un adeguato approccio alla sofferta vita del pittore Antonio Ligabue“Volevo nascondermi” è infatti un biopic atipico, che sfugge alle regole tradizionale del genere, cercando di evidenziare lo stato psicologico ed emotivo del suo protagonista piuttosto che tracciarne un preciso resoconto della vita.

Grazie alla stupefacente interpretazione di Elio Germano, il film ci racconta un’anima fragile e prigioniera del proprio corpo, abbandonata e mai veramente amata, costretta a subire vessazioni e umiliazioni. L’attore romano è riuscito nella difficile missione d’incarnare la sofferenza di Ligabue, concentrando il suo lavoro attoriale sul corpo e sulla gestualità, creando una figura quasi animale e primitiva, che agisce d’istinto e parla male, mescolando due dialetti, quello svizzero-tedesco e quello emiliano.

La storia si può dividere in tre atti. Nel primo si racconta la desolazione affettiva in cui il giovane Toni è costretto a vivere, al punto che allo spettatore sembrerà di vedere una versione italiana di “The eevenant”. Il film punta il dito contro l’ignoranza e i pregiudizi diffusi nella società d’inizio Novecento, quando essere “diverso” bastava per essere rinchiuso in manicomio e privato di ogni dignità.

Nel secondo atto arriva il riscatto sociale ed esistenziale di Toni tramite la pittura, che gli consentirà di concedersi delle soddisfazioni economiche e professionali. Ma nel terzo atto vediamo che, nonostante il successo, Toni è incapace di realizzare il suo sogno più ambito: essere amato. Purtroppo il talento e la sensibilità artistica non lo salvano da un destino amaro e solitario.

Sebbene a volte corra il rischio di essere ridondante nei gesti, la performance di Elio Germano è sicuramente il punto di forza di “Volevo nascondermi”, insieme alla splendida fotografia, che propone inquadrature che sembrano dei dipinti, al punto che vorresti premere stop per incorniciarli.

Dal punto di vista narrativo, invece, il film è forse un po’ troppo ambizioso, e finisce per perdersi. La sceneggiatura risulta in alcuni passaggi statica e ripetitiva, nel complesso dispersiva, tanto che le due ore passano lentamente. I personaggi di contorno rimangono, appunto, di contorno, tante figurine che entrano ed escono dalla vita di Toni, senza essere caratterizzate. Che sia una scelta intenzionale per mettere in risalto il protagonista?

Ad ogni modo, la storia di Antonio Ligabue merita di essere conosciuta dal grande pubblico. Questa è un’ottima occasione per riflettere sulla diversità intesa non come limite ma come dote preziosa che ogni uomo possiede, quel qualcosa che ci rende unici.

 

Il biglietto da acquistare per “Volevo nascondermi” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

 

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