“White on white”: un film simbolico, dove è protagonista l’immagine

Una sceneggiatura confusa, esile e contraddittoria che nemmeno la bella fotografia riesce a salvare

Un film di Theo Court. Con Alfredo Castro, Lars Rudolph, Lola Rubio, Esther Vega, Alejandro Goic.
Titolo originale: Blanco en blanco. Drammatico, 100′. Spagna, Cile, Francia, Germania 2019

Cile, inizio ‘900. Il fotografo Pedro viene chiamato nella Terra del Fuoco, all’estremo sud del Paese, per le nozze di un proprietario terriero di nome Porter. La futura moglie è ancora una bambina e cattura l’attenzione dell’uomo, il quale cerca nei suoi scatti di coglierne la bellezza e l’estraneità ai luoghi selvaggi in cui è costretta a vivere. Con il passare del tempo il signor Porter non si presenta e il matrimonio viene rimandato: senza lavoro e impossibilitato a fuggire, Pedro è costretto a unirsi alle spedizioni contro il popolo indigeno Selknam e a documentarne lo sterminio.

 

È scritto che quest’anno la sezione Orizzonti di Venezia 76 debba regalare al vostro povero inviato un supplemento di sofferenza creativa oltre che fisica nel cercare di raccontarvi i suoi film in concorso.

“White on white” di Theo Court, ad esempio, ha tutte le carta in regola per rientrare nella categoria degli “Inutili e fastidiosi”, diventandone persino uno dei capofila. Un film caotico, irritante, fastidioso – nonostante il protagonista e l’elegante fotografia.

Cosa dire di questa sceneggiatura confusa, esile e contraddittoria, che ha pure l’ambizione di risultare creativa e originale? Si inizia conoscendo il fotografo Pedro (Castro), ingaggiato per immortalare un matrimonio nella Terra del fuoco; si finisce parlando del genocidio degli indigeni a opera dei bianchi.

Il tutto attraverso un’accozzaglia di situazioni, personaggi e sensazioni che non conquistano il lettore ma piuttosto lo esasperano. Bocciato senza appello.

 

Il biglietto da acquistare per “White on white” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre. 

 

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