“Wolverine – L’immortale”: Logan alla ricerca di se stesso in Giappone

Il secondo spin-off della serie è un film con troppa carne al fuoco, che Hugh Jackman riesce a salvare

Un film di James Mangold. Con Hugh Jackman, Haruhiko Yamanouchi, Tao Okamoto, Rila Fukushima, Hiroyuki Sanada. Azione, 107′. USA, 2013

Dopo gli eventi di “X-Men – Conflitto finale” Logan si è ritirato sui monti, ossessionato nei sogni dallo spettro di Jean Grey. A stanarlo è una mutante giapponese, inviata per trovarlo e portarlo a Tokyo dove un morente magnate della tecnologia vuole vederlo prima di esalare l’ultimo respiro. Si tratta di un militare giapponese che scoprì il potere di Logan di rigenerarsi quando quest’ultimo lo salvò dalla bomba atomica di Nagasaki e che ora intende fargli una proposta che potrebbe cambiargli la vita: la sua immortalità in cambio di una vita normale.

 

A differenza del primo spin-off dedicato alla figura del mutante con gli artigli, che poneva l’accento su come Logan era diventato quello che è adesso, “Wolverine – L’immortale” di James Mangold sposta il punto di osservazione, concentrandosi sul versante emotivo del personaggio, sul peso dell’immortalità.

L’idea di base non è male, e in ogni caso Hugh Jackman è talmente a suo agio nel ruolo da dare un senso a tutto quello che gli viene chiesto di fare – e nel farlo piacere anche a noi. Detto questo, la materia non è stata trattata al meglio.

Di spunti ce ne sono in abbondanza, ma lo sviluppo è confuso, fumoso. Di cosa parla, davvero, questo secondo “Wolverine”? Di un immortale che non vuole più esserlo? Di un guerriero che riscopre, nel momento in cui ne viene privato, il valore della sua vita eterna? Dell’eterna lotta tra bene e male? O di tutte queste cose e di nessuna allo stesso tempo?

L’ambientazione giapponese ha dalla sua il fatto di essere innovativa, però anche qui le magagne sono più numerose dei pregi. Più che averne sfruttato le potenzialità, il film sembra una parodia del Giappone. Sono stereotipati i luoghi così come lo sono i personaggi. E vogliamo parlare del combattimento sul treno ad altissima velocità?

Tolto Logan/Wolverine – l’abbiamo già detto, Jackman ci sa fare! – gli altri personaggi non sono del tutto convincenti. La giovane mutante ninja non è caratterizzata a dovere; Mariko è una fastidiosa via di mezzo tra principessa e guerriera di un tempo; il suo vecchio innamorato è un enigma.

C’è poi un accumulo eccessivo di tematiche – dai ninja alle tecnologie fantascientifiche per tenere in vita le persone – e finisce che tutto resta vago. Forse sfoltire un po’ e andare in profondità solo su qualcosa sarebbe stato meglio.

“Wolverine – L’immortale”, come un po’ tutti i film di supereroi, è pensato per piacere, per non annoiare, per coinvolgere – anche in casi come questo, quando non è un capolavoro. Due ore di fughe rocambolesche, combattimenti al limite del parossistico, mutanti dai poteri incredibili si sopportano tranquillamente.

Il protagonista, poi, è un personaggio che piace di per sé, per il suo essere avventato e sopra le righe, quasi privo di strategia quando si tratta di buttarsi nella mischia, beccarsi colpi e pallottole, ma anche tormentato e, per certi versi, profondi. Il film lo salva lui, e la componente action che non guasta mai.

 

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Roberta Turillazzi
Giornalista per passione e professione. Mamma e moglie giramondo. Senese doc, adesso vive a Londra, ma negli ultimi anni è passata per Torino, per la Bay area californiana, per Milano. Iscritta all'albo dei professionisti dal 1 aprile 2015, ama i libri, il cinema, l'arte e lo sport.

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