Un film di Patty Jenkins. Con Gal Gadot, Chris Pine, Connie Nielsen, Robin Wright, Danny Huston, David Thewlis, Elena Anaya. Azione, Avventura, fantasy 141’. USA 2017

Diana è l’unica figlia della regina delle Amazzoni, Ippolita. Cresciuta nell’isola paradisiaca offerta al suo popolo da Zeus, sogna di diventare una grande guerriera e si fa addestrare dalla più forte delle Amazzoni, la zia Antiope. Ma la forza di Diana, e il suo potere, superano di gran lunga quelli delle compagne. Il giorno in cui un aereo militare precipita nel loro mare e la giovane, ormai adulta, salva dall’annegamento il maggiore Steve Trevor, nulla e nessuno riuscirà ad impedirle di partire con lui per il fronte, dov’è determinata a sconfiggere Ares e a porre così fine per sempre alla guerra.

 

Per un’attrice interpretare Wonder Woman, consapevole di venire messa a confronto con Linda Carter, protagonista dell’omonima serie cult di fine anni ‘70, è al contempo una grande sfida e l’occasione di entrare di diritto nel cuore degli spettatori di tutto il mondo.

È toccato all’israeliana Gal Gadot calzare stivali e mantello, dopo averlo già fatto in “Batman v Superman” ed essere stata una delle poche cose che pubblico e critica hanno salvato di quel film. La Gadot è una donna di tale fascino, eleganza e presenza scenica da valere da sola il prezzo del biglietto per qualsiasi pellicola.

Il problema è che Wonder Woman non dovrebbe essere solamente bella, ma incarnare un femminismo concreto e non di facciata, mostrando come una donna possa ambire a essere protagonista, al pari se non più dei colleghi uomini.

Il personaggio della Jenkins, invece, a nostro avviso fallisce in questo compito, snaturando l’identità dell’eroina e mettendo in scena un femminismo più di maniera che di sostanza. Causa soprattutto di una sceneggiatura pasticciata, poco approfondita, banale e retorica, con dialoghi desolanti.

L’impianto drammaturgico punta a raccontare da una parte le origini mitologiche delle Amazzoni e di Wonder Woman, dall’altra una storia più vicina al fumetto DC. A differenza del fumetto, ambientata durante la seconda guerra mondiale, gli sceneggiatori hanno spostato il tutto nel primo conflitto mondiale. Una scelta precisa, che mira a esaltare le doti della protagonista nel corpo a corpo.

“Wonder Woman” è nel complesso un film gradevole, che si lascia guardare, per merito delle magnifiche location, non a caso italiane, dov’è stata ricreata l’Isola delle Amazzoni, dei brevi ma intensi cammei di Connie Nielsen e Robin Wright, della protagonista che da tutto per rendere il suo personaggio credibile.

L’impegno e la buona volontà della Gadot non bastano però a colmare la sua inesperienza sul piano recitativo. Questo è sicuramente un apprezzabile punto di partenza, ma in futuro l’attrice può fare meglio.

La sceneggiatura – vero punto debole della pellicola – mira soprattutto a evidenziare due elementi: il femminismo duro e puro e l’ingenuità di Diana nel portare avanti sempre e comunque la sua visione di bene e di male di fronte invece alla meschinità dell’animo umano.

Se il primo elemento è tanto pompato da diventare caricaturale – ok, lo abbiamo capito, una donna può portare i pantaloni senza scomporsi! – il secondo, per quanto presenti delle cadute nel retorico risulta più coinvolgente e meglio sviluppato.

Delude, e molto, il villain interpretato da David Thewlis, che appare fuori contesto nella storia e costruito nella messa in scena.

La regia di Patty Jekins, sebbene non tocchi vette altissime di creatività e stile, sa mettersi al servizio della protagonista, esaltandone i lati migliori. Fato non scontato, visto quanto i registi amino fare le prime donne.

Il finale, nel suo buonismo, convince e regala un sorriso anche allo spettatore più cinico, felice tutto sommato di aspettare un’inevitabile seconda avventura della bella Gal Gadot. Perché siamo certi che la sua Wonder Woman non potrà che migliorare, con il passare del tempo e dei sequel.

 

Il biglietto da acquistare per “Wonder Woman” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio (con riserva). Ridotto. Sempre.

 

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Vittorio De Agrò
È nato in Sicilia, ma vive a Roma dal 1989. È un proprietario terriero e d’immobili. Dopo aver ottenuto la maturità classica nel 1995, ha gestito i beni e l’azienda agrumicola di famiglia fino al dicembre 2012. Nel Gennaio 2013 ha aperto il suo blog, che è stato letto da 15.000 persone e visitato da 92 paesi nei 5 continenti. “Essere Melvin” è il suo primo romanzo.

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