“Anna Bolena. L’ossessione del re”: recensione del libro di Alison Weir

Beat pubblica il secondo romanzo dedicato alla sei regine Tudor, mogli sfortunate di Enrico VIII

Alison Weir continua il suo lavoro storico-romanzesco sulle sei mogli di Enrico VIII d’Inghilterra, iniziato con “Caterina d’Aragona“, portandoci a rivivere dal punto di vista della seconda regina Tudor uno dei periodi più intriganti del regno di Enrico, periodo di sommovimenti e riforme religiose, di intrighi e alleanza politiche.

Anna Bolena. L’ossessione del re, edito da Beat, è un buon romanzo, storicamente molto accurato e preciso, narrativamente parlando coinvolgente solo a tratti. Quello che potrebbe rendere la lettura difficile, per chi non ama la storia e questo periodo nello specifico, è sicuramente il ritmo, piuttosto lento – soprattutto nella seconda parte.

Anna nasce nel 1501 nel castello di Hever, nella campagna del Kent, e qui trascorre l’infanzia con la sorella Mary – che diventerà l’amante di Enrico VIII e gli darà un figlio – e il diletto fratello George. A Hever la fanciulla riceve l’educazione convenzionale per una gentildonna del suo ceto: grammatica, storia, musica, danza, ricamo, galateo, falconeria. Cresciuta, Anna diventa la dama di compagnia di Caterina, la moglie del re.

Ma quando, nella primavera del 1526, il cardinale Wolsey la presenta al sovrano, Enrico è fulminato dalla sua bellezza insolita, dallo sguardo fiero e malizioso. Da quel momento è un susseguirsi di avvenimenti che cambieranno la storia d’Inghilterra. Enrico è ossessionato da quella giovane donna, ma lei rifiuta le sue avance. Il re scalpita, gli è chiaro: se la vuole, dovrà sposarla. Ma prima dovrà liberarsi della moglie, ricorrere a Roma, ottenere un annullamento. Nel giugno 1533, Anne è incoronata regina. Ma il suo regno avrà vita breve, giacché Enrico impiegherà meno di tre anni a stufarsi di lei e a cercare un modo per sbarazzarsi della sua ingombrante presenza…

Lo confesso, sono da sempre un’appassionata del periodo Tudor e delle storie delle sei mogli di Enrico VIII, quindi “Anna Bolena. L’ossessione del re” era una lettura quasi obbligata, per me. Quello che ho apprezzato in modo particolare è la prima parte del libro, dedicata alla giovinezza di Anna, alla sua esperienza come dama alla corte di Borgogna e di Francia. Sono anni di cui si sente parlare meno, anni che hanno trovato minor spazio in film e serie tv, per questo più intriganti – e anche rivelatori del carattere della donna, del come e del perché avrebbe sviluppato certe idee sulla religione, il rapporto uomo-donna e l’amore.

A partire dalla seconda parte il libro racconta una storia abbastanza nota – Enrico VIII che si incaponisce di avere la donna, lei che rifiuta di diventare la sua amante, lui che decide di sposarla ma per farlo deve prima liberarsi della prima moglie e via dicendo -, ma ho apprezzato la decisione di Alison Weir di descrivere Anna non come una donna innamorata del sovrano ma piuttosto come una persona che mirava al potere, una persona capace di fare scelte calcolate, mirando a un obbiettivo ben preciso.

Anna Bolena non era una sprovveduta, non era una donna disposta a farsi manovrare da altri, almeno idealmente. E questo, in pieno XVI secolo, era qualcosa di eccezionale. Alla fine, però, tutti gli sforzi e le macchinazioni le servirono a poco. Perché costruire il proprio futuro e la propria sicurezza sulla promessa di qualcosa che non è possibile garantire con certezza – in questo caso, un erede maschio – è una scommessa azzarda…

Quello che colpisce ogni volta che la si legge o la si vede della storia della seconda regina Tudor è la rapidità con cui si compie, nel giro di soli tre anni – tre anni vissuti più nell’angoscia e nella disperazione, che nella gioia. Eppure, per assurdo, e anche se alla fine è umano provare per lei un po’ di compassione, Anna Bolena non è una figura angelica, una martire. Perché nel corso della sua vita ha tramato ed ha saputo essere crudele.

Il giudizio su di lei resta sempre in sospeso – si è meritata quello che le è successo per aver puntato troppo in alto? O avrebbe meritato, comunque, una sorte migliore? Onore alla Weir per non aver ceduto al sentimentalismo, ma aver proposto un ritratto credibile, sfaccettato ed emozionante di questo personaggio.

 

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